Ingegneria nell’ex Reggiani, Its a Dalmine: per il 2024 novità per l’istruzione bergamasca

Un polo degli istituti tecnici superiori nel caso di trasloco della facoltà. Ma a Bergamo l’intesa tra le due proprietà sulle aree non è ancora chiusa.

In occasione del Consiglio comunale a Dalmine, lo scorso 24 maggio, il rettore Sergio Cavalieri aveva dribblato la domanda su un possibile futuro degli Its negli spazi ora occupati dalla facoltà d’Ingegneria sottolineando la loro autonomia, anche decisionale. Ma è su questa ipotesi che si sta giocando una partita che coinvolge il Comune di Dalmine, l’Università, Confindustria e il mondo degli Its, acronimo di istituti tecnici superiori, un sistema formativo post diploma. Quello che il Miur (Ministero dell’istruzione, università e ricerca) definisce come «segmento di formazione terziaria non universitaria che risponde alla domanda delle imprese di nuove ed elevate competenze tecniche e tecnologiche per promuovere i processi di innovazione». E destinatario di 1,5 miliardi di euro del Pnrr, Piano nazionale di ripresa e resilienza.

Le questioni urbanistiche

Un mondo variegato che nella Bergamasca è in continua crescita e vale almeno 3.000-3.500 studenti con previsioni fino a 4.500 nel 2026. Ed è su questa domanda che si basa l’idea di creare un polo unico a Dalmine, negli spazi che la facoltà lascerà liberi nel caso di un trasloco a Bergamo, nell’ex Reggiani. E qui la faccenda si complica. Non è un mistero che l’Università stia lavorando a questa ipotesi. Che in realtà è più di un’ipotesi, al punto che non più tardi della scorsa settimana avrebbe fatto capolino anche un possibile orizzonte temporale per l’operatività del nuovo polo all’ex Reggiani: settembre 2024. Lo stesso degli Its in quel di Dalmine, perché le due operazioni sono legate a doppio filo. E tra le altre cose Cavalieri è il coordinatore della Commissione che si occupa degli Its nella Crui, la Conferenza dei rettori italiani. Sorvolando sul fatto che la questione di un possibile trasloco d’Ingegneria non è ancora ufficialmente stata trattata dal Cda dell’ ateneo, dove sono però stati illustrati i dati sulla necessità di spazi per la facoltà, la questione va analizzata su più piani, a cominciare da quello urbanistico. Nell’attuale Pgt, l’area ex Reggiani non è destinata a funzioni universitarie, ma nel Documento di Piano i servizi pubblici sono sempre ammessi negli ambiti di trasformazione urbana. L’ex Reggiani è tecnicamente un’Aru (Area di rigenerazione urbana), dove si può procedere anche con un semplice permesso di costruire convenzionato che di fatto sostituisce il Piano attuativo. In sostanza, basta che l’Università trovi l’accordo con i privati per iniziare i lavori. Ma ora come ora non c’è ancora l’accordo «tra» i privati: perché l’area è divisa tra l’Ags (divisione Real estate) che gioca la partita tramite la controllata Pessina Costruzioni e la Reggiani Macchine, società che fa capo a una holding che vede in maggioranza l’immobiliarista Francesco Manzi. Che conferma che «le trattative sono in corso, con la massima buona volontà, ma non ancora chiuse». Come già 6 mesi fa, del resto. E questo è il piano, come dire, economico.

Ma non tutti gli Its dicono sì

Di certo si sta andando avanti con la coprogettazione dell’area, iniziata da tempo nella porzione dell’ex Reggiani Tessile, quella rilevata da Ags attraverso un’operazione molto più ampia. Nel pacchetto ci sono i 12mila metri quadri della «fabbrica verticale» progettata da Alziro Bergonzo e priva di vincoli o provvedimenti di tutela. La prima ipotesi alla quale stava lavorando lo Studio De8 già per conto della vecchia proprietà Inghirami era proprio un Its. L’idea è appunto provare a portarli tutti a Dalmine, anche se in un primo giro di contatti, non ci sarebbe stata la disponibilità a essere della partita della Fondazione Jobs Academy, forte dei suoi corsi con 1.500 studenti e da tempo alla ricerca di nuovi spazi. Un rifiuto che però non pare avere fermato il disegno comune.

Gli spazi necessari e disponibili

Ma qui entra in ballo il piano politico-amministrativo. A Dalmine, per nulla intenzionata a perdere Ingegneria, lunedì in una riunione della maggioranza di centrodestra avrebbe fatto capolino una controproposta da inoltrare all’Università: ovvero portare a Dalmine, altri corsi, in primis quelli di Economia ora in via dei Caniana dove, secondo il centrodestra, potrebbero trovare casa gli Its. Qualcosa a metà tra un domino e una provocazione, dietro la quale c’è però la ferma volontà del Comune di non perdere Ingegneria in primis ma anche la tradizione (seppure recente) universitaria, con annessi e connessi. Per capirci, anche alcuni progetti come la Brt (i bus elettrici in sede propria) da Bergamo, non proprio graditissimi alla locale amministrazione sono stati «digeriti» anche in questa prospettiva.

Secondo l’amministrazione comunale gli attuali 16.600 metri quadri distribuiti su 10 edifici e al Kilometro Rosso, sommati a quelli del recupero dell’ex centrale Enel (poco meno di 3.000) e ad altri 10mila (per giunta ampliabili) che Tenaris metterebbe a disposizione sono sufficienti a fare fronte alle esigenze della facoltà. Ma dai dati elaborati dall’Ateneo emerge come per adeguare gli spazi agli attuali parametri servirebbero già ora 28mila metri quadri, laboratori compresi. E 34mila nel 2027 e 41mila per il 2035, ipotizzando una crescita progressiva degli attuali 3.875 studenti a 4.300 prima e 5.000 poi. Con un corpo docente destinato a salire da 126 a 167 e infine a 200. Proiezioni giudicate troppo ottimistiche da Dalmine che vuole tenere a tutti i costi Ingegneria. Sullo sfondo l’ex Reggiani e ora pure l’aggregazione degli Its. Una partita complessa e su molti fronti. Forse troppi.

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