Intervento mininvasivo, cuore a nuovo. E subito il desiderio di tornare a correre

La storia Alessia Galli, a 24 anni è rinata grazie alla cardiochirurgia robotica che ha risolto un problema alla valvola mitrale.

C’è un quadro suggestivo di Frida Kahlo in cui la stessa donna viene rappresentata in due momenti diversi, e in primo piano c’è sempre il cuore, sofferente e poi «guarito». «Las dos Frida», autoritratto enigmatico e potente, potrebbe essere usato come immagine simbolica per raccontare la storia di Alessia Galli, 24 anni, di Calolziocorte, operata due mesi fa all’Humanitas Gavazzeni per un prolasso della valvola mitrale. Oggi il suo cuore è «come nuovo» grazie all’innovativo intervento mininvasivo realizzato dal team robotico guidato dal cardiochirurgo Alfonso Agnino, specializzato da quasi 15 anni nell’uso di tecniche mininvasive video-assistite. Prima dell’operazione, per Alessia, c’è stato un lungo periodo di limitazioni e di desideri infranti, dopo, invece, in modo emozionante, il presente e il futuro si sono riaccesi di speranza: «Quando me l’hanno detto - osserva - mi sembrava di sognare». Nel caso di Frida Kahlo a far sanguinare il cuore è l’amore tormentato con il pittore Diego Rivera. Il dolore e i limiti, per Alessia, nascono invece da un difetto congenito, un prolasso della valvola mitrale.

Un verdetto difficile

«Mi piace moltissimo lo sport - racconta Alessia -, e fin da piccola ho iniziato a dedicarmi alla ginnastica artistica e alla pallavolo. Immaginavo già di cimentarmi nelle gare e nelle partite dei campionati giovanili, quando purtroppo, a nove anni, una visita medico sportiva mi ha riservato una brutta sorpresa. Il medico, dopo il test sotto sforzo, si è accorto di un prolasso della valvola mitrale, che per di più era già di grado moderato. Non sapevo di preciso che cosa volesse dire, non avevo mai manifestato sintomi, ho capito subito, però, quale fosse la parte peggiore: non avrei più potuto gareggiare. Il medico, infatti, mi ha tolto subito la possibilità di svolgere attività sportiva a livello agonistico. Non ho più potuto giocare a pallavolo perché non mi sarebbe stato possibile partecipare alle partite».

Un verdetto duro per una bambina così piccola: «Me lo ricordo come uno dei giorni peggiori della mia vita. Quando ho dovuto riconsegnare la borsa alla società sportiva alla quale ero iscritta ero davvero triste e scoraggiata. Ho continuato comunque a praticare sport a livello amatoriale, ma non era più la stessa cosa. Ero molto competitiva, rinunciare all’agonismo mi è pesato, ci tenevo tanto, e trovavo ingiusto e terribile che me l’avessero comunicata come una sentenza definitiva, senza possibilità di recupero».

Il «difetto» c’era e Alessia ne era ben consapevole, ma la completa assenza di sintomi le ha consentito comunque una buona qualità di vita: «Ho trascorso un’infanzia e un’adolescenza felici, e per questo mi considero fortunata. Quando arrivavo vicina al mio limite cambiavo strada. Com’è successo con i corsi di nuoto, ho proseguito finché non sono arrivata a un passo dal livello agonistico, poi ho smesso e purtroppo per qualche anno mi sono allontanata dallo sport». Ha trovato un’altra strada dove incanalare le sue energie e il suo desiderio di competizione, impegnandosi di più nello studio: «Ho frequentato il liceo scientifico e ora sto preparando la tesi per la laurea magistrale in fisica teorica all’Università degli Studi di Milano. Questo percorso impegnativo ma appassionante mi ha aiutato a distrarmi dai miei problemi di salute e mi ha sollecitato a coltivare altri interessi. Ho sempre avuto una particolare predilezione per le materie scientifiche».

«La mia famiglia - racconta - mi ha sempre protetto, a volte perfino troppo, e i miei genitori quando ho ricominciato a svolgere attività fisica in modo continuativo si sono un po’ allarmati. Ma io amo vivere all’aria aperta. Negli ultimi anni cercavo sempre di posticipare le visite per il timore che mi impedissero di proseguire».

Si è sottoposta regolarmente a controlli: «Ogni visita medica era un incubo, soprattutto all’inizio. Avevo sempre il timore che gli specialisti potessero togliermi ancora qualcosa, che riducessero ulteriormente il mio campo d’azione». Finito il liceo ha ritrovato la sua passione per lo sport, esprimendola con passatempi più «tranquilli» come la corsa oppure le passeggiate in montagna. «La mia famiglia - racconta - mi ha sempre protetto, a volte perfino troppo, e i miei genitori quando ho ricominciato a svolgere attività fisica in modo continuativo si sono un po’ allarmati. Ma io amo vivere all’aria aperta. Negli ultimi anni cercavo sempre di posticipare le visite per il timore che mi impedissero di proseguire». A un certo punto i suoi timori si sono concretizzati: «Quasi un anno fa, nel giugno scorso, mi hanno detto che il mio disturbo era molto peggiorato, diventando di grado severo, e che quindi avrei dovuto sottopormi ad approfondimenti in una struttura adeguata a curare il mio problema».

La speranza ritrovata

Così Alessia si è rivolta all’ospedale Humanitas Gavazzeni di Bergamo, dove, dal 2019, è attivo un programma di cardiochirurgia robotica in grado di curare in modo risolutivo la sua patologia: «Fin dalla prima visita mi sono sentita risollevata - spiega - perché il dottor Agnino ha avuto un approccio diverso dagli specialisti che mi avevano visitato in passato. Mi ha detto, sì, come temevo, che non potevo più correre o camminare in montagna, ma che avrei dovuto sopportare quei nuovi limiti solo per poco. Mi ha infatti spiegato che ero la candidata ideale per un intervento risolutivo mediante l’utilizzo della tecnologia robotica in cardiochirurgia. E che grazie a quella operazione sarei riuscita a tornare a fare gli sport che volevo».

Alessia e la sua famiglia avevano cercato informazioni su una eventuale «soluzione chirurgica» del prolasso, ma fino a quel momento ne avevano sentito parlare come di una procedura invasiva, rischiosa, adatta solo ad alcuni pazienti: «Invece in Humanitas Gavazzeni mi hanno spiegato che questo tipo di intervento con il robot sarebbe stato mini invasivo e poco doloroso, e che sarei riuscita a tornare presto a correre. Ho recuperato la speranza. La mia prospettiva sulla vita e sul futuro è completamente cambiata. I medici mi hanno davvero spalancato un orizzonte nuovo e attraente». Quando è arrivato il momento dell’intervento, lo ha affrontato con serenità. Anni fa aveva seguito sui social la storia di un ragazzo con la sua stessa patologia, che aveva documentato il suo percorso di cura e riabilitazione. «Seguire la sua storia - sottolinea Alessia - ha rafforzato le mie motivazioni e mi ha dato coraggio». Così quando è arrivato il momento anche lei ha deciso di raccontarsi su Instagram: «Ho capito che poteva essere d’aiuto ad altri giovani che si trovavano nella mia stessa situazione e magari avevano perso slancio e fiducia».

Il suo soggiorno in ospedale è durato nove giorni: «Mia madre non poteva farmi visita a causa delle norme anti-Covid, ma ogni giorno veniva comunque all’Humanitas sobbarcandosi il viaggio in treno di andata e ritorno da Calolziocorte per vedermi dalla finestra. Ci salutavamo solo per pochi minuti, perché io ero ancora debole e non riuscivo a stare in piedi a lungo, ma la sua presenza mi confortava molto». Quando è stata dimessa, il giorno di San Valentino, ha trovato fuori ad aspettarla il fidanzato con un gigantesco mazzo di fiori.

L’ospedale Humanitas Gavazzeni di Bergamo è stato il primo centro italiano ad attivare nel 2019 un programma di cardiochirurgia robotica. L’utilizzo del robot permette di risolvere patologie della valvola mitrale e delle coronarie.

L’ospedale Humanitas Gavazzeni di Bergamo è stato il primo centro italiano ad attivare nel 2019 un programma di cardiochirurgia robotica. L’utilizzo del robot permette di risolvere patologie della valvola mitrale e delle coronarie. La tecnologia usata riduce notevolmente il trauma dei tessuti: per l’intervento di Alessia il cardiochirurgo ha eseguito quattro incisioni di otto millimetri invece di aprire il torace. «In questo modo - sottolinea la giovane - dopo le dimissioni non ho avuto bisogno di terapie riabilitative. Certo, ho dovuto recuperare le forze, e per il primo mese attenermi ad alcuni piccoli accorgimenti. Poi però ho iniziato a muovermi e a svolgere le mie attività quotidiane in modo del tutto autonomo. Dopo due mesi ho ripreso a correre e ad andare in montagna, senza più preoccupazioni».

Incontro a nuove sfide

Ora può dedicarsi alle sfide per il futuro: «Sto preparando la tesi magistrale in fisica teorica, che ha un approccio diverso dall’astrofisica ma si impegna comunque a descrivere l’universo. Dopo la laurea deciderò se proseguire con il dottorato oppure cercare un’applicazione pratica dei miei studi in ambito economico o finanziario. Intanto vado a correre per tre volte alla settimana, e nel weekend mi concedo una camminata in montagna. Spero di poter ottenere presto di nuovo il certificato di idoneità per l’attività non agonistica, e mi piacerebbe molto iscrivermi a un corso di arrampicata». Da tempo frequenta le «Alte vie» e non vede l’ora di tornarci: «Ho fatto il giro delle Orobie nell’estate del 2019 con il mio fidanzato, ed è stata un’esperienza bellissima, che da allora abbiamo ripetuto ogni anno in posti diversi, dalla Val Malenco alla Val d’Aosta. Ogni volta che partivo per qualche giorno con il mio zaino, però, dovevo fare i conti con gli sguardi preoccupati della mia famiglia. Temevano che potessi stare male o trovarmi in difficoltà in luoghi dove non è facile ottenere aiuto. Ora sarà tutto diverso. Pensavo di saltare il viaggio della prossima estate a causa dell’intervento, ma il recupero è stato rapido, perciò abbiamo già prenotato i posti per percorrere l’alta via intorno a Cortina, sulle Dolomiti. Settimana scorsa siamo saliti sul Monte Resegone, una camminata di quindici chilometri con 1.200 metri di dislivello, ed è andato tutto bene. Una soddisfazione incredibile, se penso che solo due mesi fa non riuscivo neppure ad alzarmi senza aiuto. Ovviamente per il via libera aspetto comunque la visita di controllo con il dottor Agnino».

Dopo l’operazione, quando si è svegliata dall’anestesia, la prima domanda che Alessia ha posto ai medici è stata: «Ora posso di nuovo correre?». Oltre alla possibilità di allenarsi, ha riconquistato la libertà, la leggerezza, una nuova serenità che le illumina gli occhi: «Quando parlo dell’intervento e della sofferenza che l’ha preceduto mi sembra di rievocare un’altra vita e un tempo lontanissimo, anche se in realtà ne è passato così poco. Mi sento completamente rinata».

© RIPRODUZIONE RISERVATA