Lavoro a Bergamo: contratti precari per il 70% di chi comincia, ora anche negli uffici

L’analisi. Nella nostra provincia sette avviamenti su dieci sono a tempo determinato o «interinale». Richiesti anche impiegati. «I lavoratori atipici sono i primi a restare a casa». Su L’Eco di Bergamo in edicola lunedì 31 ottobre l’approfondimento di due pagine.

Non solo i rider e gli «stagionali» del turismo o della ristorazione. Nel tunnel del precariato s’incontrano sempre più spesso anche i cosiddetti «colletti bianchi». «Ciò che era atipico, residuale rispetto alla norma, ora è diventato tipico e preponderante». La premessa di Guido Fratta, segretario Felsa, la federazione della Cisl che rappresenta i lavoratori somministrati, i collaboratori e gli autonomi, inquadra già il fenomeno del precariato oggi a Bergamo.

I dati

Il rapporto dell’Osservatorio provinciale sul lavoro del primo semestre 2022 segnala che, a fronte del crescere delle stabilizzazioni (trasformazioni dei contratti da tempo determinato a indeterminato), il 70% degli avviamenti è però ancora per un lavoro precario. «Tra somministrazione (15.777) e tempo determinato (38.766) fanno 54.543 dei 78.202 avviamenti», riassume i dati Orazio Amboni, della segreteria provinciale Cgil, delegato a seguire il Mercato del lavoro. E Danilo Mazzola, con omologo incarico nella Cisl, conferma: «In questa fase di difficoltà internazionale non ci sono le condizioni per un mercato del lavoro più stabile, anche se bisogna rilevare come si vada verso una tendenza ad assumere a tempo indeterminato, perché le aziende fanno fatica a trovare manodopera».

Il «lavoro flessibile», anche nel solido territorio bergamasco, però «cresce, con una precarietà a diversi livelli di intensità», spiegano i sindacati. Una realtà sempre più complessa, e più esposta al rischio povertà, che riguarda profili diversi, fino a coinvolgere anche i lavoratori degli uffici. Tra i co.co.co (gli ex contratti a progetto) e le collaborazioni occasionali (le forme meno tracciabili e con meno tutele), infatti, si incontrano sempre più spesso le mansioni impiegatizie e di segreteria.

Le «ondate»

Fratta fa notare anche come i lavoratori atipici siano i più esposti ai «venti»: «Nel quarto trimestre 2021 e nel primo trimestre 2022 abbiamo raggiunto il record assoluto di lavoratori somministrati, circa 18mila. Un dato in linea con la crescita economica post Covid, che ha portato a un boom di richiesta di lavoratori atipici». Un trend che ora comincia a scricchiolare, con la tempesta energetica, l’inflazione galoppante e la situazione geopolitica internazionale. «Nei momenti di crisi, sono i primi a risentirne e a restare a casa. È un settore da sempre termometro dell’andamento occupazionale», è l’analisi di Fratta. E Paola Redondi, segretaria Nidil Cgil, la categoria che rappresenta e tutela i lavori atipici, rimarca come negli ultimi giorni si stiano intensificando i casi di lavoratori in somministrazione a tempo indeterminato allontanati dal mercato.

«Il tempo indeterminato, nella somministrazione, rappresenta una quota minoritaria, circa il 20% – spiega –. Ma è sempre più frequente che le aziende, in presenza di cali di lavoro o per motivazioni personali (come una malattia o una maternità), non aprano gli ammortizzatori sociali e allontanino chi non è dipendente diretto». In pratica dicono all’agenzia di non mandare più il lavoratore perché non serve più, «e a quel punto, anziché la retribuzione stabilita dall’azienda il lavoratore si ritrova con un’indennità di 800-mille euro, circa la metà di quella di prima. Si capisce come sia difficile così sostenere i costi di oggi».

L’«identikit»

A mutare è anche l’«identikit» del lavoratore atipico. Se prima, infatti, l’età media era molto bassa - rappresentando il lavoro atipico la prima forma di ingresso nel mondo del lavoro per i più giovani -, negli ultimi cinque anni si è via via registrato un innalzamento del dato anagrafico. «Soprattutto nelle somministrazioni – rileva Fratta – ci troviamo di fronte a dei “reingressi” nel mondo del lavoro, che riguardano persone più adulte. C’è chi rientra per scelta, ad esempio molte donne che cercano un’occupazione dopo la maternità, ma c’è soprattutto chi è stato espulso per cause di forza maggiore dal mondo del lavoro (ad esempio per il fallimento di un’attività o di una partita Iva) e cerca di riposizionarsi».

Diverse tipologie

Nella realtà «atipica» sono tre le forme di lavoro, in una scala di tutele decrescenti. Il lavoro subordinato, a tempo determinato e in somministrazione (che prevede tre soggetti: il lavoratore, l’agenzia e l’«utilizzatore») sottostà alle norme del lavoro dipendente (ferie, permessi, Tfr, tredicesima e quattordicesima). Il 70-75% dei somministrati riguarda l’ambito dell’industria, con il traino del metalmeccanico. La seconda categoria è quella del lavoro parasubordinato, in cui rientrano i co.co.co e le collaborazioni occasionali, «forme in crescita e difficilmente tracciabili, dove non ci sono gli istituti tradizionali di tutela e ci si avvicina molto al nero», denunciano i sindacati. Il fenomeno è in crescita negli ambiti impiegatizi», sottolinea Fratta. E anche Redondi parla di «colloqui di lavoro che offrono un periodo iniziale in forma di lavoro occasionale». Infine c’è il lavoro autonomo delle partite Iva, e anche qui si naviga a vista. «Le assunzioni a tempo determinato di “professioni qualificate nel commercio e servizi” più la categoria “professioni non qualificate” fanno da sole quasi due terzi dei 38mila avviamenti a tempo determinato del 1° semestre 2022 e comunque più del doppio delle assunzioni permanenti negli stessi settori. Alcune forme di precariato si stanno consolidando – osserva Amboni –, come gli assistenti educativi nelle scuole, i rider, i lavoratori nei settori del turismo e della ristorazione». «Bisogna porre molta attenzione sulla durata dei contratti – insiste Mazzola –, la Cisl rilancia la sua proposta di far pagare di più gli avviamenti a tempo determinato di breve durata. Bisogna muoversi sulle false partite Iva e sugli stage extracurricolari».

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