Medici, dopo la pandemia per la metà stress e sindrome da burn-out

Lo studio A sottolinearlo è l’indagine promossa tra gennaio e febbraio dall’ordine provinciale con la Società italiana di medicina generale e delle cure primarie.

Non è solo stanchezza e non sono soltanto i carichi di lavoro eccezionali dell’emergenza Covid, che pure hanno inciso parecchio. È un malessere diffuso e più profondo, quello che interessa sia i medici di base che quelli ospedalieri, e che ha complicato anche il rapporto fiduciario che esiste da sempre tra dottore e paziente, esponendo in alcuni casi gli stessi medici a commettere errori professionali. È la fotografia di un disagio profondo, che ha radici lontane nel tempo e che la pandemia non ha fatto altro che peggiorare, quella che scaturisce dall’indagine dal titolo «…e al medico chi ci pensa?», effettuata tra metà gennaio e la fine di febbraio tra i camici bianchi della provincia di Bergamo.

Le risposte di 292 medici

Ai quesiti proposti dalla Società italiana di medicina generale e delle cure primarie, che ha realizzato lo studio in collaborazione con l’Ordine provinciale dei medici , hanno risposto in 292 sui circa 6mila iscritti all’Ordine, «probabilmente quelli più interessati alla questione», ha spiegato il presidente Guido Marinoni. In altre parole, un lavoro per mettere in luce un problema che esiste da tempo e di cui si aveva già percezione, ma attorno al quale soltanto adesso iniziano a mostrarsi i primi numeri. Per il 57% degli intervistati il surplus degli impegni connessi alla pandemia ha determinato un peggioramento della sensazione di malessere legato alla professione, tale da determinare il cosiddetto «burn-out», un disagio professionale profondo, che va al di là dello stress da lavoro e che assomiglia piuttosto a un esaurimento psicofisico. La questione è delicata, interessa soprattutto le professioni sanitarie e quelle socio-assistenziali, e si traduce con una difficoltà nello svolgere il proprio lavoro e nel relazionarsi con i pazienti. Ne soffrono principalmente i medici di famiglia, quelli che lavorano nei pronto soccorso, nei reparti di terapia intensiva e neurologia degli ospedali, ma nessuna specializzazione ne è esente.

Il problema esiste da 10-15 anni

«È una sindrome che sta assumendo proporzioni sempre più preoccupanti, che interessa i medici anche in altri Paesi d’Europa e per la quale non è ancora stato fatto quasi nulla», ha detto Mario Zappa che ha raccolto ed elaborato i dati dell’indagine insieme a Corrado Mariucci e a Ferdinando Pellegrino.

Oltre la pandemia

Ma c’è anche un 54,5% dei medici interpellati che lamenta un disagio forte che non dipende dalla pandemia. «Dall’indagine emerge in maniera chiara che le motivazioni sono molteplici e che riguardano indistintamente sia i medici di base che quelli ospedalieri – ha aggiunto Marinoni –. Parliamo di tematiche legate perlopiù a un’insoddisfazione generale nei confronti del lavoro, dovute all’organizzazione del sistema sanitario, alle complicazioni di tipo burocratico e alle problematiche di tipo gestionale. Poi, certo, ci sono anche i carichi di lavoro, diventati ormai poco sostenibili, la mancanza di medici e di un supporto, per quelli in attività, di carattere infermieristico e amministrativo».

© RIPRODUZIONE RISERVATA