Omicidi di Seriate e Colognola
Il procuratore: «Non credo al serial killer»

Il genetista Giorgio Portera parla di identico Dna ignoto per i delitti di Seriate e Colognola. Ma Chiappani frena: se è un omicida seriale perché è fermo da 4 anni? Il mistero dell’anello sparito a Daniela Roveri.

Alla luce delle dichiarazioni fatte martedì dal dottor Portera al processo per l’omicidio di Seriate (ossia che ci sarebbe lo stesso dna ignoto in due delitti, ndr), la Procura vedrà se sarà possibile fare ulteriori approfondimenti. Ma l’ipotesi del serial killer non sta in piedi. Anche perché, se si trattasse di un assassino seriale, risulta incomprensibile che da allora, e sono passati 4 anni, non sia più tornato in azione».

Quelle del procuratore Antonio Chiappani non sono parole di circostanza, finalizzate a placare possibili psicosi. Pur essendosi insediato da poco e per questo motivo non conoscendo a fondo i due casi – il delitto di Gianna Del Gaudio del 26 agosto 2016 e quello di Daniela Roveri uccisa a Colognola 4 mesi più tardi –, il suo ragionamento non fa una piega. Davvero, se ci fosse in giro un omicida seriale sarebbe rimasto «in sonno» per tutto questo tempo? Il serial killer è come un orco che esce dalla caverna per le sue sanguinose spedizioni e poi retrocede, resta nascosto, ma prima o poi, in preda a istinti irrefrenabili, torna a colpire. E qui in Bergamasca non risultano delitti con la stessa modalità dal 2016 a oggi.

Entrambe aggredite alle spalle

Gianna e Daniela furono aggredite alle spalle dall’assassino che con un coltello recise loro la gola. «Un’esecuzione più di tipo militare che confacente a un contesto civile», ha osservato nella sua relazione l’anatomopatologo della difesa di Antonio Tizzani, l’ex ferroviere a processo (a piede libero) con l’accusa di essere l’omicida della moglie Gianna. In questo caso il pm Laura Cocucci e i carabineri di Bergamo sono convinti che il delitto sia maturato al termine di una delle frequenti liti di coppia (i vicini li avevano sentiti litigare poco prima), nelle quali l’imputato era solito abbandonarsi a scatti d’ira. L’ex capostazione ha sempre opposto la tesi dell’estraneo incappucciato intrufolatosi in casa mentre lui era impegnato a bagnare il giardino. L’avrebbe sorpreso mentre rovistava nella borsa della moglie, già a terra esanime. Ricostruzione che fatica a smarcarsi da uno scetticismo diffuso. Ma resta il fatto che la collana che Gianna era solita indossare non è mai stata ritrovata. Una rapina, se si dà retta alle parole del marito.

Rapina è anche il movente privilegiato dal pm Fabrizio Gaverini e dai poliziotti della Squadra mobile che sulla morte di Daniela Roveri hanno indagato senza esito sino a fine 2019, quando il fascicolo contro ignoti è stato archiviato (ma può sempre essere riaperto in caso di novità). La manager, una 48enne nubile, fu uccisa nell’androne del suo palazzo di via Keplero. Sparirono la borsa, il telefonino e – si scopre ora – un anello che l’assassino le ha sfilato dal dito. Mai più ritrovati, come il colpevole. Furono interrogate 500 persone, tra vicini di casa, amici, conoscenti, colleghi, ci fu gente sottoposta a intercettazioni telefoniche e a prelievo salivare dopo che da un’ecchimosi sul volto della vittima fu repertato un Dna ignoto parziale.

L’ipotesi dello stesso assassino

Fu in quel momento che anche tra gli inquirenti balenò l’ipotesi della stessa mano per i due delitti, di cui resta comunque convinta ancora una parte dell’ambiente investigativo. Ci fu un summit fra polizia e carabinieri che s’occupavano dei due casi, «ma non è emerso nulla di significativo che potesse ricondurre a un unico aggressore», ha specificato nei mesi scorsi al processo Tizzani il medico legale Andrea Verzeletti. La congettura rimase sempre relegata a scrupolo, sul quale però non sono stati lesinati accertamenti. Come l’incrocio dei tabulati telefonici di chi agganciava la cella di Seriate la notte del delitto Del Gaudio e di chi era collegato a quella di Colognola la sera dell’uccisione di Daniela Roveri. I proprietari dei cellulari presenti sia a Seriate che a Colognola erano stati sottoposti a prelievo di Dna da confrontare per un eventuale «match» con il profilo genetico ignoto. Risultò solo una certa frequenza di soggetti di origine balcanica, troppo poco perché la statistica si schiodasse dal rango di curiosa evenienza per assurgere a pista percorribile.

E ora, dopo che nei mesi scorsi anche i carabinieri del Ris hanno definito tra il «blando e il discreto» la possibilità che i due profili appartengano alla stessa persona, c’è un genetista di grido e tra i più preparati a riproporre la questione. Davvero solo una singolare coincidenza, quel Dna che ricorre nei due delitti?

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