Omicron, nella Bergamasca 100mila contagi in due mesi: i dati

L’escalation imputabile alla variante, che ora è prevalente. In tre settimane incidenza giù del 38,6%, ma la discesa è più lenta della salita.

Era iniziato tutto con un caso isolato. Un manager campano da poco rientrato dal Mozambico, e poi e in procinto di partire – ma da Milano – per un’altra trasferta di lavoro sempre in Africa, si sottopone al tampone di prammatica: quando però i laboratori del «Sacco» di Milano sequenziano il test, un allarme s’accende. Quel «bastoncino» dà esito positivo, e il campionamento evidenzia una sequenza fino a quel momento inedita in Italia: è la variante Omicron, nuova mutazione segnalata già in altri Paesi del mondo. È il 27 novembre 2021, quando quell’accertamento conferma il primo caso della nuova variante nel nostro Paese: due mesi dopo, i numeri restituiscono un’ondata anomala in tutti i sensi. Per numero di contagi, alti come non mai, ma fortunatamente senza un corrispettivo proporzionale in fatto di ricoveri e decessi: la protezione del vaccino, unita alla minor patogenicità di Omicron, ha così disegnato uno tsunami a due velocità.

Nella Bergamasca

In questi ultimi due mesi, la Bergamasca ha messo in fila un numero esorbitante di nuovi contagi: oltre 100mila, di cui circa 90mila sono stati segnalati solo nell’ultimo mese. Con i 1.950 nuovi casi di ieri, si è arrivati a 103.245 infezioni da quel 27 novembre. Che è una data simbolica, inevitabilmente: non tutti questi casi sono imputabili a Omicron, anche perché ufficialmente i primi casi di Omicron tra residenti in Lombardia sono stati comunicati il 12 dicembre (a Milano, Lodi e Magenta), i primi in Bergamasca il 17 dicembre. Sempre inevitabilmente, però, è anche ipotizzabile che la nuova mutazione circolasse già prima, in maniera carsica e invisibile. Nell’intera Lombardia, invece, dal 27 novembre a ieri si sono sommati 1.165.470 positività al coronavirus.

Da Delta a Omicron

L’ondata autunnale era cominciata in realtà prima, con proporzioni diverse e «inneschi» particolari. L’incidenza del contagio in Lombardia s’è innalzata dal 15 ottobre, seppur lentamente; il 15 ottobre però non è una data «innocua», perché è il giorno in cui è entrato in vigore l’obbligo di Green pass sui luoghi di lavoro. Decine e decine di migliaia di lavoratori non vaccinati hanno iniziato a sottoporsi a giorni alterni al tampone per ottenere la certificazione verde, evidenziando soprattutto positività asintomatiche che hanno determinato un primo rimbalzo degli indicatori epidemiologici. Si è partiti da un livello d’incidenza che oggi pare microscopico: 18 casi settimanali ogni 100mila abitanti, valore identico sia su scala regionale sia su scala bergamasca. Poi, però, i numeri si sono fatti sempre più rilevanti; la «protagonista» era però ancora la variante Delta, apparsa per la prima volta in estate (con un’«ondina») e poi diventata predominante. Omicron ha invece cambiato decisamente lo scenario.

Una corsa rapidissima

In Bergamasca il 27 novembre – data dal primo caso di Omicron segnalato sul territorio nazionale – l’incidenza era di 62 nuovi casi settimanali ogni 100mila abitanti. Il valore dell’incidenza – che in altri termini dà conto della circolazione virale – aveva poi impiegato ben tre settimane per raddoppiare, salendo a quota 129 solo il 16 dicembre: guarda caso, alla vigilia del primo caso ufficiale di Omicron in Bergamasca. Da quel momento la corsa s’è fatta rapidissima: l’incidenza è raddoppiata in sette giorni, passando da quota 142 del 17 dicembre a quota 276 del 23 dicembre. Circa un’altra settimana dopo, si era già oltre quota 1.000: il 31 dicembre l’incidenza s’arrampica a 1.186 casi settimanali ogni 100 mila abitanti e segna il proprio massimo il 10 gennaio, quando l’incidenza raggiunge quota 2.368. In mezzo, ogni giorno si bruciava il record di contagi: il climax s’è osservato sabato 8 gennaio, 4.858 infezioni in un solo giorno. Da una ventina di giorni s’è però imboccata la discesa.

L’incidenza è appunto l’indicatore più attendibile attraverso cui misurare la circolazione virale. Se il 10 gennaio era massima, a quota 2.368 casi settimanali ogni 100mila abitanti, ieri si attestava a quota 1.453: in meno di tre settimane (19 giorni) è scesa del 38,6%.

La discesa è più lenta

Come in ogni ondata, la discesa è più lenta della salita: prendendo sempre come riferimento il picco del 10 gennaio e risalendo a 19 giorni prima (cioè guardando a un intervallo temporale analogo a quello tra il 10 gennaio e la giornata di ieri), si ricava che il 23 dicembre l’incidenza era a quota 276; si è cioè moltiplicata di 8,5 volte in meno di tre settimane. La decelerazione è più contenuta, ma l’incidenza della Bergamasca è la seconda più bassa tra le province lombarde; solo Lecco – a 1.369 casi settimanali ogni 100mila abitanti – fa meglio.

E pur fronte di un numero record di contagi, la pressione ospedaliera – che ora vive i giorni del plateau – è rimasta decisamente più contenuta che nelle precedenti ondate. In Lombardia stavolta si è arrivati a un massimo di 276 pazienti in terapia intensiva il 21 gennaio: nella seconda ondata (il metro di paragone con la quarta ondata, perché entrambe si sono verificate nel periodo autunno-invernale) ci si spinse sino a 949 ricoverati nelle rianimazioni; in quest’ondata il picco s’è ridotto del 71%. Nel reparti ordinari l’apice della quarta ondata s’è visto il 18 gennaio con 3.704 pazienti: al culmine della seconda ondata i pazienti ordinari erano 8.391, stavolta si sono ridotti del 56%.

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