«Ristorazione e uno sguardo al turismo»: la ricetta europea di viale Papa Giovanni

L’ANALISI. Luca Tamini, docente al Politecnico: da sempre è orientato verso il food. Solo Città Alta ha valori più elevati. «È una tendenza internazionale collocare queste attività sul tratto stazione-centro, intercettando anche i turisti».

Crisi? «Quale crisi?». Luca Tamini, professore di Urbanistica al Politecnico di Milano, tra i massimi esperti europei delle dinamiche del Commercio e consulente di Palafrizzoni, rimanda al mittente qualche fosca visione sul viale. Che sta per viale Papa Giovanni XXIII , 450 metri di strada con 96 attività mappate nel 2020, ultimo aggiornamento del Pgt. «Sta assumendo funzioni nuove, è di tutta evidenza», spiega.

Anzi, a voler veder bene sta confermando una sua vocazione quasi naturale e consolidata nel corso di questi anni, ovvero luogo di «somministrazione di alimenti e bevande, basta vedere il numero dei dehors o dei tavolini». A fronte di un livello del 13,5% su tutte le attività del Duc, il Distretto urbano del commercio, lungo il viale il dato sale al 18,8%, oltre 5 punti in più della media cittadina: solo Città Alta ha un valore percentuale più elevato toccando quota 26,4.

In calo gli spazi sfitti

La prossima chiusura di un’attività storica come la Gioielleria Recalcati ha riaperto il dibattito sulle dinamiche commerciali del viale, e del centro in generale, ma Tamini spegne ogni possibile polemica sul nascere: «È una strada che ha saputo cambiare rispondendo a una domanda in trasformazione e con caratteristiche che l’hanno fatto reagire sia alla pandemia che alle dinamiche successive: penso allo smart working che tanto ha penalizzato le attività di ristorazione».

Ma del resto «è di tutta evidenza che il comparto food abbia una redditività al metro quadro elevatissima, chi soffre in questo frangente sono le attività artigiane che possono lavorare solo in situazioni di mercato al ribasso». E non è la situazione di viale Papa Giovanni XXIII «dove sono anche terminate attività di ristrutturazione, liberando quindi i piani terra: e in questo caso difficilmente rientra l’operatore precedente, ne subentra uno nuovo alimentando il turn over».

Un fenomeno ben evidente lungo il viale dove, dopo la pandemia, alcune attività hanno chiuso, sostituite dopo qualche incertezza iniziale da marchi differenti e sempre del settore food. Per il momento restano vuoti gli spazi che furono di Grom, di un Pokè e della Pastifrulligeleria dove da tempo campeggiano però i manifesti dell’Antica pizzeria da Michele, brand made in Napoli diffuso in ogni dove. Dai rilievi fatti dal team di ricerca guidato da Tamini, tre anni fa lungo il viale risultavano 16 attività sfitte, oggi sono la metà. «E questo conferma lo scenario in evoluzione e il dinamismo dell’offerta: del resto a fronte di livelli di sfitto che in Italia toccavano il 30-35%, Bergamo dopo il Covid era già intorno al 20-22».

Un asse storicamente forte

«C’è una tendenza europea che vede la concentrazione di attività di ristorazione e somministrazione lungo l’asse che dalla stazione conduce verso il centro città e Bergamo non fa eccezione, anzi» rileva Tamini: da sempre l’asse ferdinandeo rappresenta qualcosa di portante nelle dinamiche cittadine, sia dal punto di vista del commercio che della socialità spicciola. «E in futuro questo ruolo è destinato a rafforzarsi» rileva Tamini che punta lo sguardo a Sud: o meglio, sull’eterna scommessa di Porta Sud.

Nel nuovo pezzo di città che dovrebbe (il condizionale è d’obbligo) sorgere sull’area ora occupata dai binari sono previsti anche 25mila metri quadri di commerciale, compreso un mercato coperto tutto da valutare nelle funzioni e ubicazione, «ed è chiaro che il viale assumerà un ruolo ancora più importante di cucitura tra il centro e questa parte nuova della città. Diciamo che l’offerta commerciale è quella giusta e al posto giusto già ora e Porta Sud non farà altro che rafforzare questa connessione, questa assialità: gli operatori cercheranno sempre più spazi in zona e la risposta della città è un’ottima reazione alla crisi. Un’offerta qualitativa, puntuale e diversificata su un segmento commerciale che in questo momento è fortissimo».

Una porta d’ingresso alla città

E poi c’è il capitolo Capitale della Cultura: «Quello è l’accesso, molti stranieri a Bergamo arrivano in treno da Milano e la prima cosa che fanno è imboccare il viale con lo sguardo verso Città Alta. Diciamo così, il futuro passa da lì perché ci cammini sopra, e tra alti e bassi è così da sempre: ci sono le scuole, i ragazzi. Non è un caso che McDonald’s si sia piazzato lì da decenni all’inizio del viale: può piacere o meno, ma difficilmente sbagliano localizzazione».

In un certo senso «viale Papa Giovanni è la strada più europea della città, capace di raccogliere le sollecitazioni dell’elemento turistico, e assumendo le funzioni necessarie». Questo a fronte di una percentuale di negozi che nel 2020 toccava il 28,1 dell’offerta con 27 attività a fronte delle allora 18 di somministrazione: ora il primo valore è sicuramente sceso e il secondo cresciuto «ma attenzione, il retail è in continua evoluzione: non c’è inerzia, semmai cambia la tipologia distributiva» conclude Tamini. «In questo contesto, la forte regolazione pubblica partita anche dal Pgt e dai vari regolamenti attuativi ha fatto la differenza: il lavoro enorme fatto a Bergamo è stato ripreso a Brescia, Mantova, Reggio Emilia e Piacenza, solo per fare qualche esempio».

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