
(Foto di colleoni)
IN CATTEDRALE. Tre giovani bergamaschi per la Diocesi, uno per la Comunità dei Padri Camilliani. La benedizione del Vescovo Francesco: «Il sacerdote non è colui che domina la vita». Scelta che si intuisce dentro uno sguardo di fede.
Sabato, alle 16, nella Cattedrale di Bergamo, il Vescovo Francesco ordinerà quattro nuovi sacerdoti – tre per la nostra diocesi e uno per la comunità dei padri Camilliani, l’ordine religioso attento al servizio e alla cura dei malati. L’evento potrà essere seguito in diretta anche su BergamoTV e sul nostro sito.
È sempre un grande segno di speranza il fatto che alcuni giovani scelgano, dopo un lungo e serio cammino, di investire tutta la propria vita nella vocazione sacerdotale: dice di una Chiesa che per grazia ha ancora la forza di generare vita cristiana e di rigenerarsi. È un indizio di vitalità di cui rallegrarsi. I tre giovani bergamaschi sono Don Lorenzo Cattaneo, di Gorle, Don Francesco Colombi, di Bossico, e Don Maichol Gherardi, di Serina.
A loro si unisce, per la famiglia camilliana, padre Christ Noukoudjo, originario del Benin, classe 1986. A loro si indirizzano le parole di augurio del Vescovo Francesco: «Benedetti i tre giovani che il 24 maggio ordinerò per la Diocesi, per la Chiesa, per il mondo, insieme ad un consacrato della comunità dei Padri Camilliani, dedicata particolarmente ai malati e agli anziani. Un anno speciale segnato dalla morte di Papa Francesco, dall’elezione di Papa Leone XIV e dalla celebrazione del Giubileo. Un anno che mi riporta alla mia Ordinazione sacerdotale, 50 anni fa, in occasione di un anno giubilare. Vorrei consegnare a loro le parole che allora ho ricevuto io: “Il sacerdote non è colui che domina la vita, ma colui che si mette con umiltà al servizio della vita, della vita completa, della vita di ogni persona umana, della vita in tutte le sue dimensioni”».
Risuona con forza, anche in queste parole, l’idea del servizio, dell’umiltà e del Dono. Parole che dicono di vite spese controcorrente e forse, per certi aspetti, oggi meno comprensibili che anni fa. Almeno a uno sguardo esterno. Ma chi vive in prima persona questa scelta, sembra avere una consapevolezza diversa. E non è più la spregiudicatezza dei vent’anni, e nemmeno l’ingenuità di chi non ha potuto scegliere e vedere altro nella vita, o l’abbaglio dell’entusiasmo. È qualcosa che si capisce solo dentro uno sguardo di fede, con la certezza che ciò che sembra valere poco, in realtà, vale molto, ed è ciò che tiene in piedi il mondo. Ciò a cui il Dio di Gesù ha legato il suo mistero e la sua amicizia. E un’amicizia così, ovunque ti dia appuntamento – anche in mezzo ai malati, ai poveri, ai bisognosi, alle giornate d’inverno in oratorio – senti di non volerla lasciare andare.
È una consapevolezza che si intuisce dalla frase che questi quattro ordinandi hanno scelto per accompagnare il loro ingresso nel ministero sacerdotale: «Il mio calice trabocca». Viene dal Salmo 22, quello che inizia con il famoso verso che dice: «Il Signore è il mio pastore, non manco di nulla». Curioso: questi giovani si preparano a diventare pastori, guide dentro una comunità cristiana, ma la prima cosa che riconoscono è che il Signore deve rimanere il loro pastore, la guida della loro esistenza. I preti sanno di non essere persone speciali, con meriti particolari, o doti straordinarie: sanno che sono parte del gregge, figli e fratelli di un popolo che prova a seguire il Vangelo.
Ma nonostante i loro limiti e la loro pochezza, sanno anche che, finché ricorderanno che un altro è il Pastore, potranno realmente sperimentare che «il loro calice trabocca» – che la loro vita si riempie di bellezza e di entusiasmo, perché riempita dalla vita di altri e perché capace di riempire, almeno un poco, la vita di coloro che incontrano.
Di che cosa c’è bisogno che si riempia e trabocchi il calice di un prete, la vita di un giovane sacerdote, a Bergamo? Di quale pienezza ha bisogno la fede cristiana delle nostre parrocchie? Abbiamo bisogno di uomini pieni di Spirito. Di preti che, con la loro vita, rendano un po’ più visibile l’invisibile di Dio. In mezzo alle cose di tutti i giorni e all’urgenza con cui le preoccupazioni quotidiane ci incalzano, è facile che ciò che non si vede finisca per perdere consistenza e per sparire: così ci si ritrova, senza nemmeno averlo voluto e senza poter dire di preciso come è successo, a riconoscere che la propria fede si è assottigliata. Abbiamo necessità di uomini che con la loro vita ci mostrino che l’invisibile non è senza valore: forse non lo vediamo, ma ne riconosciamo gli effetti. Come la luce: ci avvolge e resta invisibile, ma vediamo l’effetto che fa quando si posa sulle cose e le illumina, le fa emergere dal buio, sprigionando il meglio dei loro colori. Così è l’invisibile di Dio. Abbiamo bisogno di vedere, anche grazie a questi giovani, che cosa succede quando la Sua luce raggiunge l’esistenza umana. Abbiamo bisogno di vedere vite e calici che traboccano di carità, di compassione, di dedizione, di misericordia e di infaticabile generosità. Giovani preti dello Spirito.
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