Senza «tagli» alle emissioni di gas serra i ghiacciai in Lombardia scompariranno

Crisi climatica. L’Adamello sparirà anche rispettando le riduzioni dell’Accordo di Parigi, Fellaria e Forni resisteranno. Ma solo il 40 per cento del volume attuale sulle Alpi sarà preservato. I dati al convegno del Cai regionale al Palamonti.

I ghiacciai in Lombardia scompariranno se non ci sarà un taglio drastico delle emissioni di gas serra. L’evoluzione dei tre principali ghiacciai, Adamello, Fellaria e Forni, è stata confrontata nello scenario peggiore, quello definito «business as usual», ovvero con emissioni rimaste alte, e quello previsto rispettando gli obiettivi di riduzione dell’Accordo di Parigi. Sull’Adamello, però, sparirà anche in questo secondo caso, perché a quota più bassa, mentre del Fellaria ne sopravviverà un terzo e dei Forni un quarto. Su tutte le Alpi solo il 40 per cento del volume attuale sarà preservato. L’ha spiegato Riccardo Scotti, responsabile scientifico del Servizio glaciologico lombardo, al convegno organizzato dal Cai Lombardia al Palamonti di Bergamo. «Ma nello scenario peggiore di clima non stabilizzato – aggiunge – i ghiacciai non saranno il problema principale».

I ghiacciai rispondono all’aumento della temperatura media globale, più 1,1 gradi dal 1900, sulle Alpi già più 2, provocato dalla concentrazione di gas serra in atmosfera

Una mattinata intensissima e ricchissima di dati, con gli interventi di rappresentanti autorevoli del mondo scientifico, sul tema «Montagne lombarde e cambiamenti climatici», che ha ricordato come i ghiacciai siano le sentinelle del clima. Il filo conduttore di tutte le relazioni è stato l’urgenza di raggiungere rapidamente l’obiettivo delle emissioni nette zero per rallentarne la scomparsa. I ghiacciai rispondono all’aumento della temperatura media globale, più 1,1 gradi dal 1900, sulle Alpi già più 2, provocato dalla concentrazione di gas serra in atmosfera. «Ma anche nello scenario migliore la rotta non si invertirà. Gli ecosistemi della montagna si stanno modificando», sottolinea Valter Maggi, professore ordinario di Geografia fisica e Geomorfologia all’Università di Milano Bicocca e presidente del Comitato glaciologico, parlando di «Ghiacciai alpini: passato e... futuro?». «Nel catasto italiano dei ghiacciai del 1957-’58 questi occupavano 526 chilometri quadri, scesi a 368 nel 2015. La perdita di massa diventa evidente dalla fine degli anni Settanta. La tendenza planetaria è la stessa».

Il 2022 è stato l’annus horribilis: in Val d’Aosta, per esempio, con il 51 per cento di precipitazioni invernali in meno, d’estate i ghiacciai hanno perso, rispetto al metro stagionale, 4 metri di spessore. E la siccità continua. «In questa situazione, nell’estate scorsa, nel Po si trovava solo acqua dei ghiacciai. E sulle risorse idriche è evidente la ripercussione della fusione». Dopo la tragedia della Marmolada del luglio scorso, con 11 vittime, travolte dal crollo improvviso di un seracco, è stato proposto il monitoraggio dei ghiacciai: per tutti è impossibile, avvertono gli esperti. «I ghiacciai sono importanti per il paesaggio e il turismo, ma hanno una rilevanza economica strategica come fornitori di acqua e di energia», osserva Valter Maggi.

Il 22 giugno scorso i consueti rilievi del massimo accumulo invernale della neve sono risultati impossibili sull’Ortles-Cevedale perché, a 3200 metri di quota, non si trovava già più, mentre il ghiaccio era arretrato di 70 centimetri

In Lombardia circa il 60 per cento dei ghiacciai se ne è già andato. L’accentuato aumento delle temperature estive negli ultimi dieci anni ha provocato l’estinzione di 124 ghiacciai dal 1991 e la perdita ogni anno di una superficie pari a 220 campi da calcio. E il 2022 ha superato ogni record: «Il 22 giugno scorso – rimarca Riccardo Scotti – i consueti rilievi del massimo accumulo invernale della neve sono risultati impossibili sull’Ortles-Cevedale perché, a 3200 metri di quota, non si trovava già più, mentre il ghiaccio era arretrato di 70 centimetri. Una situazione cui non avrei mai voluto assistere». Impressionanti le diminuzioni di superficie e spessore dei ghiacciai mostrate dai time-lapse, che in pochi secondi rappresentano quanto avvenuto in tre mesi di fusione tra giugno e settembre. Struggenti le registrazioni del suono dei ghiacciai, come quello di esseri viventi.

Claudio Smiraglia, già professore ordinario dell’Università degli Studi di Milano e componente del Comitato glaciologico italiano, rileva la dinamica contrapposta tra aumento della temperatura e calo dei ghiacciai: «Si ritraggono progressivamente sempre più in alto, perdendo volume e superficie e incrementando la copertura detritica. Le superfici candide degli anni Settanta non ci sono più, ora sono nere e ricoperte di sassi». Le modalità di regresso sono cambiate: ora l’arretramento è di centinaia di metri all’anno, con molta più acqua sul fondo. I crepacci diventano circolari, con crateri enormi destinati a crollare di colpo. Le coperture con teli riflettenti? «Accanimento terapeutico. Creano un ambiente completamente artificiale». Forme di «turismo macabro» sono definite le escursioni destinate ai ghiacciai in estinzione. Il modo di andare in montagna deve cambiare, perché i pericoli aumentano. «Abbandonare l’alpinismo di alta montagna su ghiaccio? Serve un ragionamento molto serio. C’è stato un incremento della vulnerabilità».

Nella giusta direzione vanno gli obiettivi dell’Unione europea, che prevedono le emissioni nette zero al 2050 e -55 per cento al 2030, con impegni a ogni livello

Sulla necessità della drastica riduzione delle emissioni climalteranti si sofferma Stefano Caserini, titolare del corso di Mitigazione dei cambiamenti climatici al Politecnico di Milano. «Significa rinunciare ai combustibili fossili, in Europa entro 20, 25 anni. Intanto i livelli di produzione globali pianificati entro il 2030 portano a uno scenario di più 2,7 gradi anziché di 1,5 o 2, come previsto dall’Accordo di Parigi». Nella giusta direzione vanno gli obiettivi dell’Unione europea, che prevedono le emissioni nette zero al 2050 e -55 per cento al 2030, con impegni a ogni livello. «Il sistema energetico attuale è pericoloso per il pianeta. Dobbiamo costruirne uno basato su efficienza ed energie rinnovabili. Inevitabile – avverte Caserini – la transizione verso edifici energeticamente più efficienti e l’auto elettrica. Il motore endotermico ha un’efficienza del 20 per cento, quello elettrico del 70. Occorre agire subito per raggiungere l’obiettivo delle emissioni nette zero al 2050. Ed è possibile anche eliminare la povertà energetica senza aumentare le emissioni. Tra i cobenefici della transizione l’abbattimento dell’inquinamento da particolato fine e biossido di azoto. La transizione non è facile, ma è possibile. I limiti sono politici, non tecnologici».

In chiusura il climatologo Frank Raes, fondatore e direttore del Museum of Anthropocene di Laveno-Mombello, su «Oltre la mitigazione e l’adattamento: cambiare cultura». Richiama l’urgenza di coinvolgere i giovani e di lavorare in cordata, evitando la politicizzazione della crisi climatica, che non porta da nessuna parte. Invita il Cai a impegnarsi all’interno della società civile per comunicare quanto sa la gente che va in montagna. Il densissimo convegno è stato moderato da Jean Pierre Fosson, segretario generale della Fondazione Montagna Sicura, e introdotto da Laura Colombo, vicepresidente Cai, Mina Maffi e Rosita Lupi del Cai Lombardia. Numerose e pertinenti le domande del pubblico presente in sala e collegato su You Tube. Un buon segnale per l’enorme lavoro in cordata che ci aspetta.

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