«Varianti, i vaccini sono efficaci»
Perno: preoccupano i ritardi

Carlo Federico Perno, immunologo del «Bambino Gesù» di Roma.«È ragionevole pensare che presto questo virus sarà più in difficoltà di noi».

Preoccuparsi. «Occuparsi prima», letteralmente, secondo l’etimologia. O «temere», nella definizione più d’uso comune. La fotografia dello scenario pandemico, nell’intreccio tra dati epidemiologici, nuove varianti che si diffondono e vaccini nell’impasse, corre sulle sfumature delle parole. Carlo Federico Perno, responsabile della Microbiologia e della diagnostica di immunologia dell’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù di Roma e professore di Microbiologia all’UniCamillus–International Medical University di Roma, guarda in profondità a un’emergenza che resta in costante evoluzione.

Professore, ora in Italia è stata individuata la variante brasiliana, a Varese. La preoccupa?

«Guarderei all’accezione latina del termine. Noi ce ne dobbiamo pre-occupare, ovvero dobbiamo occuparcene prima. Qui, per esempio, entrerebbe in gioco il lavoro di sequenziamento, che in Italia si fa poco: per questo non abbiamo varianti italiane. Dobbiamo occuparcene bene, perché tutto si gioca su piccoli dettagli, ed è l’attenzione a questi che permette di ridurre i rischi. Dobbiamo temerla, questa variante? Io credo di no. Al momento non abbiamo alcuna evidenza che la variante rappresenti un rischio reale».

Dunque i vaccini restano efficaci?

«Questa variante modifica la struttura del virus, ma non abbastanza da giustificare quello che viene chiamato “escape”, cioè la capacità di un virus di “scappare” dall’attacco mosso dal vaccino».

L’impasse mondiale che si sta vivendo attorno ai vaccini mette a rischio la lotta al virus?

«Questa situazione preoccupa, stavolta nell’accezione del timore. Si è messo in campo il più grande piano vaccinale della storia: come in tutte le cose grandi, tuttavia, basta un granello di sabbia per mettere in difficoltà gli ingranaggi, anche se non per colpa nostra. Se i ritardi cominciano sin da questa fase, in cui la platea è ancora ridotta, occorrerà capire cosa succederà quando la campagna sarà a pieno regime».

Moderna sta iniziando le consegne. Ci sono delle differenze tra questo farmaco e quello prodotto da Pfizer-Biontech?

«I due vaccini sono molto simili: sono entrambi a Rna, prevedono una doppia iniezione e hanno un’efficacia notevolissima, dimostrata scientificamente attorno al 95%. L’unica differenza, non particolarmente rilevante, è che Moderna propone la seconda dose dopo 28 giorni dalla prima (Pfizer ha il richiamo invece dopo 21 giorni, ndr)».

E quello di AstraZeneca? Il verdetto dell’Ema sta per arrivare.

«È molto diverso. Ema (l’agenzia regolatoria europea, ndr), che è criticata per i suoi tempi, non sta ritardando: sta cercando di capire, e condivido questa scelta. Nei dosaggi standard utilizzati per lo studio, per esempio, il vaccino ha un’efficacia non superiore al 60-65%, cioè notevolmente minore agli altri due. Ed è significativa, questa differenza: con Moderna e Pfizer proteggo 19 persone su 20, con AstraZeneca 12 su 20».

Chi si vaccina, se da un lato è protetto dalla malattia, dall’altro può essere comunque contagioso?

«Un vaccino, se è veramente un vaccino, impedisce l’infezione oltre che la malattia. E se un vaccino blocca l’infezione, il soggetto non è a sua volta infettante. Gli studi fanno pensare che il vaccino protegga dall’infezione e non soltanto dalla malattia, quindi chi si vaccina non è contagioso».

E chi ha già fatto il Covid deve comunque vaccinarsi?

«Mi baso sulle evidenze scientifiche, e una quota delle persone che ha fatto il Covid non ha una risposta anticorpale protettiva. Chi ha fatto il Covid, quindi, sicuramente deve iniziare la schedula vaccinale. Si può eventualmente discutere se queste persone abbiano o meno una priorità nel vaccinarsi».

A che punto della pandemia siamo arrivati?

«I numeri ci dicono che in Italia le infezioni sono abbastanza contenute rispetto a settembre, ottobre o novembre, mentre in altri Paesi il virus circola maggiormente. È ragionevole pensare che presto questo virus sarà più in difficoltà di noi: un po’ perché molti l’hanno già fatto, un po’ perché si sta iniziando con le vaccinazioni. Ma il ragionamento regge solo a tre condizioni: che si tengano le mascherine; che si mantenga il distanziamento; che la campagna vaccinale si estenda al meglio».

Le scuole sono ripartite. Ma davvero, tra i banchi, il virus si muove più rapidamente?

«Porto due evidenze. Una, basata sui dati del ministero della Salute, indica che i tassi di focolai nelle scuole sono largamente inferiori ai focolai nel Paese in generale. La seconda evidenza è uno studio che abbiamo appena concluso, monitorando da settembre le scuole in cui siano stati rispettati i criteri di sicurezza: i tassi di infezione sono ridicoli, e sono maturati fuori dagli edifici. Al momento, la scuola non è un focolaio primario di trasmissione del virus. Chi dice il contrario deve dunque portare dei dati».

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