
(Foto di Rossetti)
IL RICORDO. L’artista e musicista è morto a 95 anni. Nelle sue tavole sgargianti intrecciava collage di foto e immagini spesso tratte dall’iconografia pop e jazz. Il ricordo di Gianluigi Trovesi: sempre pronto a dare vita a nuovi progetti.
Da uomo delle terre alte aveva forse convinto tutti di avere trovato la formula per scacciare l’appuntamento con l’oscura signora. Ancora sino a un mese fa percorreva, a novantacinque anni, i quotidiani cinque chilometri a piedi tra le strade e i sentieri della sua Nembro. Lui che non ha mai avuto la necessità di prendere la patente, aristocraticamente indifferente alla imperante mobilità meccanizzata. Gianni Bergamelli se l’è portato via questa estate 2025 interrompendo una storia orgogliosamente orobica, assistito dalle figlie Sonia e Alice. Un artista a trecentossessanta gradi, irripetibile, antiaccademico per necessità e virtù. Pittore i cui quadri esibiscono una indiscutibile ingegnosità e pianista attratto nel mondo delle sette note quasi per sbaglio, grazie ad un pianoforte a muro in oratorio.
«Musicista e artista ma anche da sempre attivissimo nel generare nuovi progetti, nel dare vita a nuove idee. Sempre positivo, mai in contrasto con qualcuno». A ricordarlo così è Gianluigi Trovesi che, come ama sottolineare, è «andato a bottega» proprio sotto l’ala protettrice di Gianni Bergamelli («ci ho messo diversi anni prima di passare dal lei al tu»). «Era l’epoca dei night club, del varietà e delle balere e sono cresciuto ascoltando le prove e i concerti che faceva con mio padre, Vigilio Trovesi alla batteria, mio cugino Luigi Trovesi alla fisarmonica e Tarcisio Bergamelli, ottimo sassofonista». Ricordare Gianni Bergamelli è parlare anche di una parte della storia della musica contemporanea che rischia di essere dimenticata.
«Musicisti come Gianni - ricorda l’amico Trovesi - attraversavano un apprendistato musicale di altissimo livello, anche se non venivano certo dai Conservatori». Perizia artigiana e apprendimento orale consentivano di acquisire i repertori popolari degli anni cinquanta e sessanta adottando gli stilemi corretti della musica leggera di allora. «E ciò significava canzone francese, canzone italiana e la canzone americana, infarcita di swing e jazz», precisa Trovesi. Erano gli anni di Renato Carosone, di Hegel Gualdi, delle melodie di Sanremo apprese dalla radio e dalla televisione. «Bergamelli si misurava con commesse che non consentivano alibi. Si suonava dalle 22 sino alle quattro del mattino e nessuno confermava il gruppo se non era all’altezza».
Trovesi rivendica, lui che il Conservatorio lo ha fatto, la qualità di quel lavoro che ha vissuto da «garzone», da «bocia»: «saper entrare nel modo corretto nello stile di quei repertori, trovare le formule corrette per introdurre le canzoni, creare gli accompagnamenti adeguati avendo nella migliore delle ipotesi solo una linea melodica e le sigle degli accordi, svisare che era la parola che si usava prima di parlare di improvvisazione, richiedeva tanta perizia e Bergamelli si misurava con musicisti ferratissimi». Guai a suonare la linea melodica pedissequamente come riportata sugli scarni sparititi. Bisognava sapere come far saltare fuori l’anima di quelle canzoni. «In quel mondo si sapeva che musicisti blasonati e ferratissimi non sarebbero mai stati in grado di superare la prova dal vivo»
Nato in una famiglia operaia, Bergamelli ha preso presto l’abbrivio dalla fabbrica per incrociare le sale da concerto e le gallerie d’arte. Il primo ingaggio come musicista è nel 1945, per il veglione di Capodanno. L’orchestra a suo nome tocca tappe in Italia, Svezia, Danimarca, Germania, Francia, Spagna, Svizzera, Filanda, Stati Uniti. Nel 1965 si dedica alla pittura, per qualche anno anche in modo esclusivo. Nel 1968 è la sua prima personale in via Della Spiga a Milano. Neocostruttivista e concettuale, è stato definito, ma c’è da supporre che Bergamelli, autodidatta puro, si sia curato poco della casella nella quale inquadrare le sue tavole sgargianti, intrecciate a collage di foto e immagini, spesso tratte dall’iconografia pop e del jazz, da cui emergono tracce materiche di vernici da garage.
Due anni dopo è con Gianluigi Trovesi sul palco del Teatro Donizetti per la seconda edizione della Rassegna internazionale del jazz. Con il giornalista Paolo Arzano è tra i promotori nel 1970 dell’Associazione Bergamasca del jazz (Abj) e nel 1990 nasce il progetto dell’Orchestra Enea Salmeggia, in onore del pittore secentesco originario di Nembro. Da ricordare la costante collaborazione con il Centro culturale San Bartolomeo di Bergamo e il Guinness dei primati, nel 1998 suonando alla Piramide sull’Everest del Cnr all’altitudine di 5050 metri. Nel 2007 è nominato Accademico dell’Ateneo di Lettere Scienze e Arti di Bergamo con Trovesi.
Ma la vera fucina progettuale, l’atelier d’artista, è sempre stato il bar Centrale di Nembro, luogo d’incontri e di progetti, sede delle animate discussioni su ciclisti e squadre di calcio («lui era milanista, io juventino» dice ancora Trovesi «ma la quadra la trovavamo vituperando insieme l’Inter»). Proprio quel bar Centrale, «il bar dove il cliente ha sempre torto», che l’ha visto protagonista, tra maggio e giugno, dell’ultima sua mostra e di un appuntamento con la musica incentrato sui suoi dipinti e le storie di un intero paese.
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