Bollani venerdì al Lazzaretto: la musica fa fiorire il mondo

BERGAMO JAZZ ESTATE. Il pianista a Bergamo con il nuovo album «Blooming»: «Il mondo sta cercando la rinascita dopo un periodo difficile. Nel disco tutte le mie passioni, dal jazz ai ritmi latini, da Ravel ai surrealisti».

Stefano Bollani in «solitaria» su disco, dal vivo in trio. Il nuovo album di piano solo, «Blooming», è un florilegio di note e suggestioni. C’è del jazz accanto ad altro. Ma al Bergamo Jazz estate 2023 il pianista milanese arriva accompagnato dal contrabbassista Gabriele Evangelista e dal batterista Bernardo Guerra.

Il concerto al Lazzaretto, il 14 luglio, è dunque all’insegna del jazz. Il titolo dell’album fa pensare a una rinascita. «Credo che si rinasca ogni giorno, così mi è sembrato giusto parlare di fioritura. L’idea è nata qua in casa, insieme a Valentina (ndr: Cenni, la moglie), che ha avuto l’idea del progetto grafico e dell’immagine. Il titolo è nato dopo che avevo registrato. Mi sembrava che il mondo, non solo il calendario, stesse cercando di rifiorire dopo un periodo difficile, complicato, che stiamo ancora attraversando. Ecco: la fioritura è un augurio».

Il fiore fa venire in mente l’albero, insieme fanno pensare a Gianni Rodari, un’anima che aleggia intorno alla sua famiglia. Sul piccolo schermo lei e sua moglie avete dato vita al programma «Via dei Matti N° 0». Altro rimando.

«Rodari fa parte di quegli scrittori italiani che con fantasia e dono dell’ironia hanno costruito un palazzo differente dagli altri. Me lo figuro accanto ad Achille Campanile, Aldo Palazzeschi, Luigi Malerba, altri in attività come Ermanno Cavazzoni. Una compagnia felice piena di allegria. Non sarà la corrente principale della letteratura italiana, ma è importante. Ho dimenticato Calvino, un altro scrittore a suo modo leggiadro. È una linea letteraria italiana che a me piace tenere in vita. Certi scrittori trasmettono freschezza».

Nel disco c’è tanta musica: ritorna la ricerca sui ritmi latini, ci sono retaggi jazz, tanta melodia. Il piano solo è un’orchestra minima di colori.

«Tutto deriva dalle passioni che ho. Alcune sono dichiarate nei titoli. C’è il Brasile, Cuba. Altre suggestioni sono più nascoste. C’è un brano che titola “Radici” e ha sentori francesi. Ho sempre attinto alla musica di Ravel, Debussy, al primo Novecento, ai surrealisti, anche loro giocosi. Anche quello è un mondo d’invenzione, di fantasia. Nel disco si ritrovano tutte le cose che mi piacciono e mi hanno stimolato a scrivere qualcosa di mio».

L’ispirazione da dove arriva? Da qualcosa che uno ha dentro, dagli incontri che si fanno, dalla musica che si ascolta, dal pianoforte che chiama, dalle melodie che si afferrano nell’aria?

«Le provenienze le ha dette quasi tutte, ma ce ne sono altre ancora. Vedo di sperimentarle tutte, non ho un solo metodo. Può essere che mi venga un’idea e me la registri da qualche parte, me l’appunti, poi ci lavori mesi dopo; può essere che mi venga suonando con qualcuno, o a casa, quando sono seduto al piano da solo. Parto sempre improvvisando. Colgo l’intuizione del momento per levigarla e farla diventare un brano vero e proprio. A volte comincio da un accordo, da un brano che ha un andamento melodico che mi convince. Magari mi faccio prendere da un passaggio armonico preciso che fa da trampolino di lancio. A volte quel trampolino lo tolgo. Faccio un esempio. “Il gabbiano ischitano” è un brano scritto sul verso di un gabbiano. Ho scritto il brano attorno a quel verso e poi quel suono l’ho tolto. Il titolo è quello, ma nessuno capirà il perché ascoltando il pezzo. Di fatto manca l’ispirazione iniziale».

E l’improvvisazione? Parla sempre meno di jazz anche se lo suona.

«Ci ha fatto caso! Beh, tra televisione e colonne sonore mi sono un po’ spostato su altro e forse è capitato che nelle interviste abbia parlato meno di jazz. Però quella parola continua a piacermi, come la musica. A Bergamo veniamo in trio e usiamo dei brani che sono pretesti per improvvisare. I miei compagni sono bravissimi e non hanno bisogno di grandi strutture per lanciarsi e trovare ispirazioni. La parola improvvisazione mi piace ancora perché sottende l’idea di suonare nel presente. Improvvisavano anche Chopin e Mozart, anche se non è la prima cosa che ti viene in mente quando pensi alla loro musica. Mentre con la parola jazz immediatamente evochi un mondo che è quello dei musicisti che s’incontrano e suonano insieme subito».

La musica per il cinema è una passione che si fa sempre più strada.

«Ho fatto le musiche di un cortometraggio che s’intitola “Essere oro” e lavoro al progetto di Valentina, che è un lungometraggio. Sono due lavori bellissimi e sono chiamato a scrivere musica quanto meno carina. È un bel compito. È bello scrivere musica per i film belli. I lavori che ho fatto ad oggi, come “La vita di Carosone”, mi sono molto piaciuti. Scrivere colonne sonore non è il mio mestiere e quindi sono nella condizione di scegliere le cose giuste, in sintonia con me».

La musica in televisione. Vista la sua esperienza che idea si è fatto?

«Credo che ci siano margini di miglioramento, prima di tutto in quantità. C’è poca musica in televisione. Anche la qualità può migliorare. Le cose che ho visto ultimamente, tutte diverse tra loro, da Augias a Morgan, a Ezio Bosso, avevano un intento didattico poco mascherato e a me sono piaciute, per motivi diversi. Si può migliorare, si può fare. È un buon momento per la musica in tv, soprattutto se penso agli anni precedenti quando ce n’era pochissima. Ricordo il buon Baricco di un tempo lontano».

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