
(Foto di Rossetti)
LO SPETTACOLO. Se l’intelligenza artificiale è davvero il futuro, Alessandro Cattelan ha deciso di salutarla con una decisa alzata di spalle.
Giovedì 9 settembre in una ChorusArena di Bergamo riempita in ogni ordine di posti, il conduttore-showman ha portato in scena «Benvenuto nell’AI!», uno spettacolo che prometteva di raccontare il mondo nell’era digitale, ma che in realtà ha finito per restare ancorato all’umano, al personale, al quotidiano. L’intelligenza artificiale? Presente, sì, ma come voce meccanica che interloquisce tre o quattro volte, più come spalla comica che come protagonista. E alla fine, quasi sconfitta dall’idea che probabilmente «ne faremo a meno», torna a parlare come i caselli autostradali. Insomma un ritorno alle origini senza nostalgia.
Lo show si apre con i monologhi di Sandro Cappai e Martina Catuzzi, che scaldano il pubblico con ironia e ritmo. Proprio la comica emiliana, con stile pungente, introduce quei toni dissacranti che Cattelan raccoglie e amplifica, trasformandoli nel fil rouge della serata. Ma non è il «politicamente scorretto» di una volta, piuttosto una forma di disincanto contemporaneo: battute che graffiano ma non feriscono, stoccate che strappano sorrisi più che sussulti. È il Cattelan di sempre, ma in versione più asciutta e decisamente meno esplosiva rispetto al passato. Il pubblico - variegato ma con una forte componente di cinquantenni - apprezza, partecipa e a tratti si riconosce.
Il cuore dello spettacolo è Cattelan stesso, con il suo racconto personale: la sua recente esperienza sanremese, la presunta antipatia di Fabio Fazio, i siparietti con Elettra Lamborghini, gli influencer attivisti (bersaglio di una canzone al vetriolo), i figli, la pubblicità, i primi acciacchi da uomo «maturo». L’AI, quella vera, quella che dovrebbe cambiare il mondo, resta solo sullo sfondo. Viene evocata, addestrata, rinnegata. E liquidata come strumento per banali ricerche online. Il futuro, insomma, può aspettare.
«Benvenuto nell’AI!» è comunque uno show che funziona e intrattiene. Il pubblico lo premia, ma chi si aspettava un’indagine sul rapporto tra uomo e macchina, una riflessione profonda sull’epoca digitale, ha senz’altro trovato più Cattelan che intelligenza artificiale. E va bene così. Forse.
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