Celentano nel libro di Sergio Cotti: ritratto inedito tra i ricordi

L’intervista «Le Robe di Adriano» del giornalista fondatore dell’unico fan club riconosciuto ufficialmente. Memorie, tante foto e testimonianze di Gori e Remuzzi.

Memorie di Adriano, memorabilia anche. Sergio Cotti le ha raccolte nel suo terzo libro dedicato a Celentano. «Le Robe di Adriano» (Bolis Edizioni), con prefazione a firma di Vincenzo Mollica, esce in questi giorni e conclude un tragitto intrapreso anni fa da questo valente autore che è stato fondatore e presidente de «I figli della foca», l’attivo fan club italiano dedicato al Molleggiato, chiuso nel 2002.

Già un libro nel 2007

Cotti nel 2007 ha scritto un libro enciclopedico in occasione del mezzo secolo di carriera dell’artista «1957-2007 - cinquant’anni da ribelle», dieci anni dopo ha dato alle stampe «Adriano e Celentano - Un po’ artista, un po’ uomo». Il nuovo lavoro (in occasione dei 65 anni di carriera, che Celentano festeggia il 18 maggio) è in buona misura fotografico, ma raccoglie anche interessanti testimonianze di tanti personaggi che per un motivo o l’altro hanno incrociato la poliedrica esperienza artistica del «Re degli ignoranti», straordinario e controverso uomo di musica, cinema, televisione.

«I primi due libri non avevano fotografie, se non piccole», spiega Cotti. «Riportavano le copertine dei dischi. Stavolta ho avuto modo di consultare uno dei più grandi archivi di materiale riguardo all’artista. Su Celentano sono stati scritti tanti libri, non solo da me, quasi mai con le immagini. L’idea era quella di fare un libro diverso, un racconto anche fotografico. All’origine c’era anche l’idea di realizzare una mostra e il libro “Le Robe di Adriano” ne sarebbe stato il catalogo. Per ora c’è quello, la mostra si farà. In pagina ci sono memorabilia che non ha mai visto nessuno, robe da collezionisti estremi».

L’archivio a chi fa capo?

«A Pierangelo Rudi, che ringrazio alla fine del libro. Un grande collezionista che ha reso possibile questo mio lavoro e continua a regalare a tanti ammiratori di Adriano Celentano la possibilità di approfondirne la conoscenza. Nei ringraziamenti faccio riferimento anche a Domenico Tresca, altro grande collezionista che purtroppo è mancato negli anni scorsi. Grazie al suo materiale ho realizzato il primo dei miei libri».

Stavolta la narrazione passa per tante testimonianze.

«In verità non avevo voglia di ripercorrere la carriera di Celentano visto che l’avevo già fatto nei lavori precedenti. Così ho pensato di ripassarne la carriera a spot, attraverso le voci di chi, per motivi vari, ha incrociato l’esperienza di Adriano».

«Abbiamo avuto un rapporto strettissimo durante tutta la vita del fan club, fino al 2002. Poi non l’ho più sentito. Conoscendolo bene, prima da fan, poi da amico e giornalista, mi sono fatto l’idea che sia una persona che crede molto in quel che dice, è un tipo naif, non sempre si rende conto del peso e delle conseguenze che possono avere le sue parole. Lui è utopista, va avanti a raccontare quanto era bella la Milano degli anni Cinquanta, ma oggi non possiamo rinunciare ai grattacieli di una città rinata, bella così»

Da fondatore dell’unico fan club riconosciuto dall’artista e da scrittore, giornalista, che idea personale ti sei fatto del Celentano figura ingombrante quanto controversa, che spazia tra musica, cinema e televisione?

«Ho avuto modo negli anni Novanta di conoscerlo benissimo. Eravamo quasi sempre insieme: l’ho seguito nella tournée del ’94, lo chiamavo a casa ogni dieci giorni, è venuto qua a Bergamo a trovarci. Abbiamo avuto un rapporto strettissimo durante tutta la vita del fan club, fino al 2002. Poi non l’ho più sentito. Conoscendolo bene, prima da fan, poi da amico e giornalista, mi sono fatto l’idea che sia una persona che crede molto in quel che dice, è un tipo naif, non sempre si rende conto del peso e delle conseguenze che possono avere le sue parole. Lui è utopista, va avanti a raccontare quanto era bella la Milano degli anni Cinquanta, ma oggi non possiamo rinunciare ai grattacieli di una città rinata, bella così. Glielo ricorda Massimo Giletti nel libro. Adriano per certe cose è rimasto legato al passato. È comunque una persona curiosa ed è anche molto più umile di quel che sembra. Per la sua paura di volare si è limitato a costruire la sua fortuna soltanto in Italia, quando avrebbe potuto avere un peso artistico anche a livello internazionale. Lui si è accontentato, anche se poi in tv dice di essere il numero uno. La persona Adriano e l’artista Celentano sono un po’ diversi: da una parte è inarrivabile dall’altro assolutamente affabile».

Nel libro, tra i testimoni, ci sono due bergamaschi: il sindaco Giorgio Gori e il ricercatore Giuseppe Remuzzi. Per motivi diversi tutti e due hanno incrociato il Molleggiato.

«Ho pensato a Gori perché anni fa avevo letto diversi articoli in cui i due si mandavano a quel paese. Allora il sindaco di Bergamo era direttore di Italia Uno e quella rete aveva realizzato un omaggio che Celentano non aveva gradito. Diciamo che i due non se l’erano mandate a dire. Da Gori volevo farmi raccontare il Celentano televisivo degli anni Novanta. Lui aveva in animo di fare un programma per Mediaset che non è mai stato realizzato. Volevo capire il perché. Quanto a Remuzzi, fu chiamato a “125 milioni di c….” dopo che Adriano aveva fatto la sua sparata sui trapianti. Il ricercatore bergamasco aveva scritto una lettera al “Corriere della Sera” e fu chiamato in trasmissione. La sua vita mediatica è cominciata lì».

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