Cultura e Spettacoli / Bergamo Città
Lunedì 10 Novembre 2025
«Festival organistico, grande successo per i concerti nelle chiese»
L’ INTERVISTA. Il bilancio del direttore artistico Fabio Galessi: «Una partecipazione straordinaria per tutto il festival nonostante le composizioni contemporanee e gli interpreti sconosciuti. Una formula apprezzata dal pubblico»
La memoria corre ai Concerti di Musica Barocca dell’Azienda autonoma di turismo e di Siebaneck, quattro e più decenni fa. Allora Vivaldi e compagni riempivano le chiese all’inverosimile, tanto che le più belle di Città Alta non erano abbastanza capienti per accogliere tanto pubblico. Il Festival Organistico Internazionale ha salutato la XXXIII edizione con uno spumeggiante concerto dell’organista Alberto Gaspardo, solista, assieme al bergamasco Ensemble Locatelli diretto da Thomas Chigioni alle prese con Handel, Porpora, Scarlatti, Sammartini, Geminiani e Vivaldi nella chiesa di San Pancrazio. A Fabio Galessi, direttore artistico chiediamo un bilancio dell’ultimo Festival «Città di Bergamo».
«Un risultato straordinario, non da oggi: per tutto il festival abbiamo avuto chiese sempre piene. L’argomento di questa edizione, proporre composizioni nuove, non era facile. Un conto è proporre un grandissimo nome con un repertorio noto, un altro è presentare interpreti sconosciuti, mai sentiti. Significa che la gente si fida, tanto che forse potremmo proporre un concerto a scatola chiusa. Abbiamo iniziato con Gunnar Idenstam, e molti mi hanno chiesto “chi è?”. Tantissimi non sapevano che esistesse. E si presentava con un programma per nulla facile, pieno di composizioni contemporanee, a parte i Carmina Burana. La stessa cosa è successa con Isabelle Demers: la risposta della gente è stata incredibile. L’altra sera in San Pancrazio c’era la fila di gente che veniva a ringraziarmi per le scelte e per l’organizzazione. La mia risposta è sempre stata la stessa: siamo fortunati».
Non era un rischio per le presenze predisporre sempre le dirette streaming?
«La smentita clamorosa è arrivata dai numeri, con le chiese piene come non mai e i record di visualizzazioni. Tanta gente della nostra terra ha seguito YouTube, qualcuno mi ha detto apertamente grazie, perché scendere in città dalle valli è complicato. Lo streaming è un servizio che promuove la città di Bergamo a livello internazionale, ma facilita anche chi in loco non può muoversi. Chi ascolta lo streaming in diretta può vivere l’emozione del momento anche se c’è di mezzo uno schermo, l’effetto non è così diverso; oltre ad essere uno strumento per rivedere e approfondire i dettagli delle esecuzioni e lasciare una preziosa documentazione. Non nascondo che anche noi temevamo che dopo il Covid la diretta web facesse inevitabilmente calare le presenze ai concerti».
Quest’anno avete spinto parecchio sulla contemporaneità, con brani di oggi.
«Sì, ed era un rischio, ma è la prosecuzione naturale del lavoro fatto sull’improvvisazione. Sono approcci diversi, muovono con la stessa finalità: far vedere che la musica contemporanea di oggi non è quella che ha distrutto il repertorio della musica di avanguardia e compromesso il rapporto di fiducia col pubblico. Vogliamo far capire e ascoltare che anche tra il repertorio attuale ci sono proposte e musiche che sanno essere interessanti, intellegibili e non astruse. È un modo per dire alla gente di non avere paura. Sono convinto che se le proposte sono intellegibili, “belle”, il pubblico esce dal concerto col sorriso. È stato un test su tutto il lavoro fatto in questi anni e gli esiti sono da vedere. Lo stesso concerto con l’ensemble Locatelli e Gaspardo a Castenedolo, il giorno precedente l’esecuzione a Bergamo, aveva una cinquantina di persone. Da noi oltre cinque volte tanto. Moltissimi erano seduti in ogni altro spazio. Per chi suona anche il “contorno” conta».
È stata una lunga semina...
«Sì, secondo le linee guida che non abbiamo mai mollato. Non nascondo di essere davvero soddisfatto, è stata un’edizione magnifica. Ad esempio, al concerto di Enno Gröhn pioveva alla grande, pensavo che la chiesa delle Grazie sarebbe stata mezza vuota: non c’era un buco per sedersi».
Qualcosa che l’ha stupito?
«Mi ha commosso il gesto di Idenstam, a fine serata, dedicato al percorso dal buio alla luce, che ha spinto tutto il pubblico a cantare l’Alleluia di Cohen. Voleva che in questi momenti difficili nel mondo tutta la cattedrale cantasse per invocare la pace. È quell’azione sociale e civile che la musica può e deve fare a servizio della comunità, come e più di altre discipline della cultura: la musica in particolare può unire la gente. È stato un momento che ha fotografato esattamente questi significati».
E la prossima edizione?
« Posso dire solo che tre concerti sono fissati, spero di realizzare un sogno che ho nel cassetto da tempo, ma non voglio anticipare ancora nulla».
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