Festival pianistico, Pletnev illumina il Donizetti con Rachmaninov

IL CONCERTO. Il pianista russo ha inaugurato in grande stile il festival: la sua visione crepuscolare ha restituito al pubblico la sofferenza delle note di Rachmaninov, assecondato dall’orchestra diretta da Pier Carlo Orizio.

Oltre il crepuscolo. Sembra questo il messaggio consegnato nella serata di venerdì 28 aprile al teatro Donizetti da Denis Mikhail Pletnev. Ieri sera è stato lui il protagonista di un’inaugurazione in grande stile, come ci si aspettava dall’apertura del Festival Pianistico numero 60. Perché una delle star più attese, il grande pianista e direttore d’orchestra, ha spiazzato la platea affollatissima del Teatro Donizetti. Con la sua interpretazione del Concerto n.2 di Rachmaninov.

Fin dalle prime note Pletnev ha dato voce alla sua concezione del capolavoro di Rachmaninov. Già prima ancora di mettere le mani sulla tastiera, verrebbe da dire, per il suo portamento austero e l’aplomb antispettacolare. Una visione asciutta, sobria all’estremo, proprio come il suo gesto economico, quasi a far pensare che i suoi suoni si generino anche senza il «gesto» corrispondente, con una articolazione pressoché nulla, invisibile.

L’Orchestra Filarmonica del Festival diretta da Pier Carlo Orizio ha assecondato con flessibilità e misura la visione livida, a dir poco crepuscolare del pianista russo. Certo, se il tema della kermesse bresciano bergamasca è la «Rinascita», la lettura di Pletnev si è proposta come un punto zero. Come se volesse restituire tutto il portato di sofferenza che l’autore aveva sulle spalle prima di riuscire a stendere il suo capolavoro, segnato da un successo di pubblico pari alla tremenda depressione in cui era caduto il compositore dopo il fiasco della sua prima Sinfonia.

L’attacco («a campane» solo sulla carta) era l’annuncio di sonorità plumbee, soffocate e grigie. Sotto il suo tono incredibilmente vellutato e setoso i tempi si allentano fino a una dilatazione fluttuante. Tutto il Concerto secondo la poetica di Pletnev è pervaso da una accezione antieroica. Come il risultato di una logorante ed estenuante conflittualità. In generale dominava un taglio cameristico, o meglio, un’interiorità riservata.

Se l’orchestra caricava, il pianoforte tratteneva e smorzava. Non c’erano né esplosioni, né quei toni tracimanti che hanno fatto la fortuna del Concerto n.2. Il trasporto affiorava qua e là: si percepivano dei ruggiti, ma in sordina. Prevalgono gli echi sul canto, come se tutto fosse attraverso una visione trapassata. Si staccava da tale approccio, paradossalmente, l’Adagio centrale, meno dubbioso e riflessivo del primo tempo. Ma non mancavano anche qui i riverberi di una decadenza infinita. Il Concerto si animava nell’ultimo movimento, ma erano scintille sotto la brace, non fuochi pirotecnici. Quasi che la voce di Rachmaninov riemergesse dalla durissima depressione che lo aveva colpito nel 1900, con i postumi del grave travaglio viaggio personale.

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Se l’idea è quella di un’opera post pandemica, bene, allora il tema della «Rinascita» ci sta tutto. Per altro pure il bis, richiesto a furor di popolo - l’Allodola di Glinka - ha riverberato analoghe timbriche poetiche, più aggraziate nella foggia, non nella sostanza disincantata. In apertura la presidente Daniela Gennaro Guadalupi, l’assessore alla Cultura Nadia Ghisalberti e Gianluigi Venturini, direttore Lombardia di Intesa San Paolo, main sponsor hanno accolto il pubblico. «È il sessantesimo compleanno, contiamo di farne altrettanti, è un assicurazione sulla vita - scherzava la presidente - il volume dei Sessant’anni non è solo la conversazione di artisti, ma un racconto della musica della seconda metà del Novecento».

Sia Guadalupi che Ghisalberti hanno rimarcato la copertina del libro, dedicata alla talentuosa pianista ebrea Maria Judina (1899-1970) a cui Stalin troncò la carriera facendole fare una vita in miseria e povertà per aver stigmatizzato gli eccidi che il dittatore leader stava compiendo. Toccava alla Sinfonia n. 9 di Sostakovich restituire con vitalità e nerbo un respiro di ottimismo e di slancio verso una «rinascita», verso il ritorno a una vita concertistica e sociale fuori da ogni restrizione pandemica.

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