( foto Gianfranco Rota)
DONIZETTI FESTIVAL. L’opera «semiseria» che debuttò nel 1883 è stata restituita al pubblico con una narrazione teatrale convincente dal regista Manuel Renga. Uno spettacolo coinvolgente con protagonisti vocali molto efficaci, orchestra e coro di buon piglio.
“Il furioso nell’isola di San Domingo” ha completato domenica 16 novembre con successo il poker dei titoli del Donizetti Opera Festival 2025. Nella versione critica di Candia Billie Mantica è stata restituita pienamente - col Preludio iniziale e varie piccole modifiche - la prima di Roma 1833: allora fu l’inizio di una triplice fortuna: del titolo, per molti anni tra i più ammirati e replicati di Donizetti, per la nuova figura di baritono protagonista (sarebbe il cosiddetto “baritono verdiano, e una revisione urge per render giustizia al Nostro) e infine l’ascesa del primo baritono, il portentoso Giorgio Ronconi.
Come mai allora un’opera che racchiude molte perle musicali - tutto il secondo atto è una successione di alta fattura - è caduta in oblio? Per altro a Bergamo in tempi non lontani sono state die edizioni del Furioso, una nel 2013, un’altra nel 1987 con Renato Bruson e Luciana Serra. Il problema è in gran parte, crediamo, la vicenda: un protagonista impazzito per amore in un ambientazione esotica, con un mix tragicomico (in specie per Kaidamà, “servo negro” in loco). Non è solo l’inattualità del genere “semiserio” - le mode esistono anche i campo culturale - ma la difficoltà di dare alla strana vicenda una narrazione teatrale convincente, una drammaturgia che non proceda a sbalzi, tra colpi di scena e cambi di registro, come succede nella musica. In tale cimento è uscito vittorioso, e alla grande, il regista Manuel Renga, passato dalle produzioni per i giovani e i bambini al palcoscenico maggiore.
Renga, fin dal delizioso ed elegantissimo Preludio (che pesca da “Gianni di Parigi”) ha scelto la strada del flashback. Non è solo un espediente narrativo, certamente non inedito, ma tesse un filo coerente e delicatamente pregnante. Mette in sequenza tutti i numeri e le tessere del puzzle: Cardenio non è “pazzo”, come etichettato subito, ma un marito così innamorato da perder l’equilibrio mentale quando scopre che la moglie lo ha tradito platealmente e senza scrupolo. Molto significativa la scenografia di Aurelio Colombo: racconta un esotismo “dipinto” sui muri-fondali attorno a tutta la vicenda. Il protagonista è ormai vecchio, in una casa di riposo che sfoglia un album di ricordi: quelli della moglie e dell’isola San Domingo e del loro amore. La storia di sdoppia tra presente e passato, per attualizzare senza travisare o stravolgere la narrazione. E non è improbabile che in Cardenio ci sia qualche traccia dello stesso Donizetti. Il graduale e faticoso ravvicinamento tra Cardenio e la moglie Eleonora si traduce anche in un progressivo squarciamento dei muri dipinti: sono il segno del cammino difficile e sofferto per tornare alla realtà e all’amore tra i due. Cardenio ha visto che la moglie è davvero pentita ed è disposta a pagare la sua colpa fino alla morte.
Lo spettacolo funziona con garbo, leggerezza e poesia, con la veridicità di un fumetto, che nella finzione può essere coinvolgente più di un romanzo. Molto positivi, efficaci, sono stati tutti i protagonisti vocali a partire dal tenore Santiago Ballerini, nei panni del fratello Fernando, squillo generoso, smalto brillante e grande pervasività, grazie a un magnifico colore chiaro e rotondo.
Nel ruolo del protagonista c’era una vecchia conoscenza del Teatro Donizetti, il baritono Paolo Bordogna ammirato più volte in ruoli comici. La sua voce ha declinato con grande espressività, duttilità dei accenti e pathos (a partire dalla bellissima aria di sortita “Raggio d’amor parea nel primo april degli anni”, autoimprestito da “Ugo Conte di Parigi”). L’Eleonora del soprano Nino Machaidze, generosa per brillantezza e fluido fraseggiare spiccava per accenti, in particolare nel registro medio e acuto. Bravo, anche nella recitazione clouwnesca il Kaidamà di Bruno Taddia, pertinente e molto espressivo il Bartolomeo di Valerio Morelli e la elegante Marcella di Giulia Mazzola.
L’Orchestra Donizetti Opera era guidata con buon piglio e accorta gestione degli equilibri da Alessandro Palumbo, mentre il solerte coro dell’Accademia Teatro alla Scala, istruito da Salvo Sgrò ha dato il suo solido e colorato contributo. Per parlare di amore, anche quello più tragico, sembra dire il duo Donizetti-Renga va bene l’ironia: in fondo il “semiserio” è il più vicino al quotidiano di ognuno di noi.
© RIPRODUZIONE RISERVATA