
Cultura e Spettacoli / Bergamo Città
Domenica 15 Giugno 2025
Giorgio Pasotti a teatro: «Il mio Otello contro i femminicidi»
L’INTERVISTA. Il bergamasco, nei panni di regista e attore, porta in scena la tragedia il 10 e 11 luglio al Teatro Romano di Verona, con la drammaturgia di Dacia Maraini. «Questo è il tema dei temi. Mi rivolgo in particolare ai giovani».
«Non passa giorno senza che arrivi la notizia di una violenza perpetrata ai danni di una donna. Non è più tollerabile. L’obiettivo del mio lavoro è quello di partire dai grandi classici per trasmettere dei messaggi molto precisi e le parole di Shakespeare, scritte più quattro secoli fa, ci vengono in aiuto ancora oggi». Giorgio Pasotti non nasconde l’entusiasmo e la soddisfazione per la sua nuova produzione teatrale, che lo vedrà nei panni di regista e attore: «Otello» - prodotto dal Teatro Stabile d’Abruzzo con la drammaturgia di Dacia Maraini - debutterà il 10 e 11 luglio al Teatro Romano di Verona nell’ambito del festival «Estate teatrale veronese». L’attore bergamasco vestirà i panni di Iago, mentre il ruolo di Otello sarà affidato a Giacomo Giorgio, volto noto al grande pubblico dopo il successo della serie televisiva «Mare fuori».
L’attore bergamasco vestirà i panni di Iago, mentre il ruolo di Otello sarà affidato a Giacomo Giorgio, volto noto al grande pubblico dopo il successo della serie televisiva «Mare fuori»
Pasotti sta vivendo uno dei periodi più intensi della sua carriera: dopo il debutto veronese, «Otello» verrà rappresentato presso la suggestiva Scalinata di San Bernardino a L’Aquila, per poi iniziare una tournée nei più importanti teatri italiani, da Torino a Genova, Trieste e Bologna. Dopo avere terminato le riprese del film sulla vita del bobbista Eugenio Monti che aprirà le Olimpiadi di Milano Cortina 2026, il prossimo settembre Pasotti dirigerà «La traviata» per il Teatro Coccia di Novara, un traguardo da lui stesso definito come uno dei picchi più alti della sua carriera quasi trentennale.
Pasotti, con quale spirito sta affrontando la messa in scena di un’opera complessa e famosa come «Otello»?
«“Otello” è la storia di un femminicidio: il protagonista uccide Desdemona e mette fine alla sua stessa vita per gelosia. Purtroppo si tratta oggi del tema dei temi. Attraverso le parole di Shakespeare e quelle di Dacia Maraini - che ne ha fatto una trasposizione scenica importante e molto al femminile – voglio strizzare l’occhio al pubblico dei più giovani, cosa che faccio ormai da anni, perché proprio i giovani sono i più coinvolti in questo tema delicatissimo. Per rispondere alla domanda, direi che sto affrontando questa nuova sfida con grande senso di responsabilità. Come diceva Ermanno Olmi, qualsiasi forma d’arte deve riuscire a stimolare il pensiero: mi sono posto l’obiettivo di offrire al pubblico uno spettacolo estremamente appagante, ma in cui gli spettatori - e in particolare i più giovani - possano ritrovarsi».
«Attraverso le parole di Shakespeare e quelle di Dacia Maraini - che ne ha fatto una trasposizione scenica importante e molto al femminile – voglio strizzare l’occhio al pubblico dei più giovani, cosa che faccio ormai da anni, perché proprio i giovani sono i più coinvolti in questo tema delicatissimo»
A proposito di giovani, cosa può significare per loro vedere una storia di gelosia e amore malato rappresentata dal vivo, senza essere filtrata da uno schermo?
«Penso che avrà un impatto molto forte. La drammaturgia è affidata a Dacia Maraini, una donna estremamente intelligente, simbolo dell’emancipazione femminile. Volevo un “Otello” visto da uno sguardo femminile e desideravo che fosse proprio la voce di una donna a raccontare cosa significa subire una violenza di questo genere. Credo che la donna sia in generale più forte dell’uomo emotivamente e sono convinto che, dopo molte lotte, oggi abbia raggiunto un grado di emancipazione tale che l’uomo non riesce a governare. Lo vedo anche nei ragazzi più piccoli. Bisogna intervenire a livello educativo, sia in famiglia che a scuola, per far comprendere ai ragazzi che non sarà la forza fisica a risolvere i problemi».
Verrebbe da dire che in centinaia di anni non abbiamo imparato nulla.
«Non direi che non abbiamo imparato niente. Il problema è che l’uomo tende a guardare in primis a sé stesso, più che guardare in avanti con uno sguardo ampio rivolto alla comunità. Dobbiamo anche considerare le difficoltà che derivano dalla presenza di culture diverse all’interno della nostra società. Per la messinscena di “Otello” ho voluto attori, costumi, scenografie e musiche che fossero rappresentativi di questa mescolanza. Le grandi città sono diventate cosmopolite, sono contenitori di culture differenti, che rispecchiano i paesi d’origine. È necessario raccontare come questa mescolanza possa causare delle incomprensioni e degli incidenti di percorso – che mi auguro siano solo temporanei – affinché questa struttura sociale (alla quale in Italia non siamo ancora abituati) si stabilizzi, ritrovando equilibrio e armonia. E per farlo andrebbe anche regolarizzata in modo migliore la convivenza, perché ci sia un equilibrio tra diritti e doveri di chi arriva nel nostro Paese».
In Italia non sembriamo ancora pronti ad accettare l’idea di una nuova società cosmopolita. Crede che l’attività di voi artisti possa dare un contributo in questo senso?
«In effetti non siamo ancora pronti ad accettare pensieri e culture diverse dalle nostre, ma è un passo che va fatto. Nel nostro piccolo noi attori diamo il nostro contributo attraverso l’arte, che è un mezzo molto potente. Molto importante è anche il lavoro svolto dalle scuole e colgo l’occasione per rinnovare un appello che sto facendo spesso: è necessario inserire nella programmazione scolastica l’ora di teatro, non per far crescere dei piccoli attori, ma per diffondere una cultura teatrale che aiuti a comprendere le diversità, i problemi e le frustrazioni di sé stessi e degli altri. Non si tratta ovviamente dell’antidoto a tutti i mali, ma potrebbe dare un ottimo contributo alla soluzione di alcuni problemi. Sarebbe necessario anche tornare a dare importanza allo sport, che può diventare valvola di sfogo oltre che mezzo per affermare sé stessi».
Come si sente nel doppio ruolo di regista e attore?
Avevo anche bisogno di un tipo di recitazione non artificiosa come quella dei vecchi teatranti, ma vera e naturale: i giovani hanno bisogno di vedersi rappresentati, hanno bisogno di credere alle parole degli attori. Per la messinscena ho pensato a qualcosa di appagante per l’occhio, ma che avesse un significato ben preciso
«L’ho già fatto al cinema, ma è la prima volta che ho questo doppio ruolo a teatro. Con questo progetto ho voluto creare qualcosa che potesse piacere a un pubblico più trasversale possibile. Per il ruolo di Otello ho scelto Giacomo Giorgio, uno dei protagonisti di “Mare fuori”, perché voglio disintegrare il muro eretto dai vecchi attori di teatro, che pensavano che il teatro fosse un loro patrimonio, precluso agli attori di cinema e televisione. Avevo anche bisogno di un tipo di recitazione non artificiosa come quella dei vecchi teatranti, ma vera e naturale: i giovani hanno bisogno di vedersi rappresentati, hanno bisogno di credere alle parole degli attori. Per la messinscena ho pensato a qualcosa di appagante per l’occhio, ma che avesse un significato ben preciso. Ho scelto di traslare nel nostro “Otello” la famosa “Traviata degli specchi”: ho utilizzato uno specchio posto a 45 gradi sul palcoscenico, che permette al pubblico di vedere quello che succede sul palco, ma da un’altra angolazione. Si tratta di una vista bidimensionale. Non ho inventato nulla di nuovo, ma è un’idea che non era ancora stata utilizzata a teatro e che mi permette di coinvolgere pienamente il pubblico nella storia e nell’ambientazione multiculturale. Al termine, lo specchio si alza e riflette gli spettatori, che si sentono partecipi di questo delitto, perché ognuno di noi nel proprio piccolo deve sentirsi responsabile di ciò che sta accadendo».
© RIPRODUZIONE RISERVATA