
(Foto di Bedolis)
LIRICA. Applausi per l’opera di Puccini andata in scena in piazza Cittadella, nell’allestimento del Ducato di Piazza Pontida. Qualche goccia disturba il finale.
Sfidando l’incertezza del meteo «Turandot» è andata in scena ieri sera in Piazza Cittadella, in Città Alta, davanti a circa quattrocento spettatori. L’allestimento curato dal Ducato di Piazza Pontida ha seguito una serrata tabella di marcia, inizio preciso all’orario previsto (20.45) nella serata del 19 agosto, intervalli ridotti a pochi minuti, per scongiurare le piogge previste a tarda sera, anche a costo di incappare nei rintocchi del Campanone alla fine del secondo atto, quando Calaf scioglie gli enigmi e si guadagna la mano della principessa.
Lo spettacolo si interrompe sul finire, a pochi minuti dall’epilogo felice tra Calaf e Turandot finalmente uniti. Qualche goccia e il maestro Antonio Brena, direttore generoso dell’allestimento, ha dovuto annunciare l’interruzione dello spettacolo, poi ripartito nel giro di una manciata di minuti.
La platea en plein air della lirica estiva ha assistito a un allestimento secondo le linee ormai consolidate del Ducato. La complessa macchina organizzativa ha saputo dare risposte interessanti per tutti i molteplici aspetti di ogni produzione lirica. Voci, senz’altro, ma anche coro, orchestra e, non ultimi, tutto quanto concerne l’allestimento scenico, che nell’opera ultima di Puccini si presenta tutt’altro che semplice. Anzi.
Le voci principali sono state all’altezza, a partire dalla Turandot del soprano Roberta Salvati, già apprezzata protagonista in «Aida» nel 2023, sempre per la lirica estiva del Ducato. Al debutto nel ruolo della principessa dagli occhi di ghiaccio ha saputo alternare con efficacia elegante linearità di espressioni e tinte accese, con una condotta lirica convincente e fluidamente declamata, all’altezza del ruolo apicale nella vicenda.
Non da meno è stato la sua «controparte», Calaf, ossia il principe Ignoto, affidato alle corde del tenore drammatico ucraino Vitaliy Kovalchuk. Costui ha esibito un bel colore pieno, sorretto da intensità ed energia di generosa sostanza, fin dall’aria «Non piangere Liù» per arrivare al popolarissimo «Vincerò», tra generoso fervore e intensità del timbro deciso.
Ben definiti e positivi sono stati tutti gli altri apporti vocali, a partire dall’Altoum del tenore bergamasco Sergio Rocchi, il basso Ezio Bertola (Timur), il baritono Angelo Lodetti (Ping), i tenori Livio Scarpellini, Mirco Quarello e Francesco Piccorini (Ping, Pong, Pang), mentre si son fatti valere, pur con una presenza numericamente contenuta, il solido Coro del Ducato di Piazza Pontida, con apporto generoso e puntuale, e l’Orchestra «Gianandrea Gavazzeni» diretta da Antonio Brena, che nella messa a punto acustica della piazza ha offerto una prova di significativa presenza, importante nell’economia complessiva dello spettacolo.
Interessanti le soluzioni sceniche adottate e le scelte della regia di Mario Binetti, che ha caratterizzato con scene essenziali e stilizzate ciascuno dei tre atti, tra la sagoma di una pagoda, alberi senza fronde e, soprattutto la presenza immanente, costante, di una grande luna sul fondo scena. Da un lato le luci hanno dato vita e significati diversi all’insieme, ora spettrali, livide, ora invece accese e vitali - esattamente come succede a Turandot, gelida e mortifera prima, poi accesa di passione - e animare dall’altra i costumi (curati da Franz Cancelli) in parte moderni in parte arcaici e moderni (si andava da magliette e calzoni bianchi e neri ai copricapi di paglia caratteristici dell’antica Cina). L’insieme conferiva una chiara atemporalità alla vicenda, vale a dire una fiaba, come lo stesso regista aveva comunicato. Una fiaba a lieto fine, che ha concluso tra gli applausi della platea estiva.
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