(Foto di laila pozzo)
IL CONCERTO. Giovedì 27 novembre a ChorusLife Elio porterà «Quando un musicista ride» dedicato ai protagonisti della Milano anni ’60, fra canzone e cabaret.
«Il percorso è iniziato con l’altro spettacolo che titolava “Ci vuole orecchio”, dedicato a Enzo Jannacci», spiega Elio. «Ricordo che ne avevamo già parlato. Ero partito con pochissime aspettative, andavo in scena perché avevo voglia di cantare Jannacci. Ma lo spettacolo ha avuto un successo clamoroso, cosa che non mi accade spesso. Più di 150 repliche e tante altre richieste. Chi lavora con me, compreso il regista Giorgio Gallione, mi ha spronato a fare dell’altro». L’altro è «Quando un musicista ride», spettacolo che Elio porta in scena giovedì 27 novembre a «ChorusLife» di Bergamo (ore 21; biglietti disponibili», accompagnato da un gruppo di giovani, valenti musicisti. Insieme giocano a esplorare e reinventare il repertorio seriamente comico che ha attraversato gli anni Sessanta tra incanto e disincanto, canzone e cabaret. «Con Gallione ci siamo messi lì a pensare. Volevamo esplorare il mondo di Cochi e Renato, non avevamo materiale a sufficienza e non sarebbe stato facile farlo. Allora abbiamo pensato a uno spettacolo che partendo da Jannacci allargasse il cerchio e interessasse artisti che a lui sono stati legati. Così abbiamo pensato a Giorgio Gaber che era già stato protagonista di un altro mio spettacolo, “Il Grigio”, poi i Gufi e lo scatenato semi-sconosciuto Clem Sacco. Cochi e Renato li avevo incontrati al teatro Lirico a Milano, per me sono due figure mitiche. Li ho tempestati di domande e sono venuti fuori un sacco di aneddoti bellissimi sulla Milano degli anni Sessanta».
«Alla fine sì, in quegli anni veniva fuori da lì quasi tutto. I comici erano quelli, punto. Vista oggi, la Milano di allora è assolutamente irripetibile. Ha rappresentato un fenomeno artistico unico. Con un linguaggio a sé stante, tipico. Ora in città non c’è più lo stesso il linguaggio. Nel resto dell’Italia i comici facevano altro, parlavano un’altra lingua. Ma ovunque la gente aveva in testa i tormentoni che uscivano dal “Derby”. Che so: “siamo su a mille e tre”! Tutti ripetevano quella frase che era solo milanese, nata da una canzone di Cochi e Renato».
«Vista oggi, la Milano di allora è assolutamente irripetibile. Ha rappresentato un fenomeno artistico unico. Con un linguaggio a sé stante, tipico. Ora in città non c’è più lo stesso il linguaggio. Nel resto dell’Italia i comici facevano altro, parlavano un’altra lingua»
«C’è anche quello. Lo dico senza vergogna: tante cose non le conoscevo. Scoprendole mi danno un entusiasmo incredibile. Da un lato mi confermano che la scelta che ho fatto con Elio e le Storie Tese è stata buona. L’altro ingrediente è che a me piace fare queste cose, mi fanno ridere e star bene. Sono contento di aver coinvolto col mio entusiasmo anche quelli che suonano con me, alcuni dei quali non hanno ancora trent’anni. Della materia non sanno granché, semmai l’hanno sentita raccontare».
«Siamo meno liberi di cinquant’anni fa quando come artisti eravamo sottoposti a censura. Il nostro primo disco aveva i bip su certe parole quando andava in radio. Oggi farebbe ridere, sto attraversando il periodo più conformista della mia vita»
«Ed è esattamente uno dei motivi per cui ho scelto di fare lo spettacolo. Il materiale che abbiamo selezionato ci ha fatto proprio riflettere su questo: sembra qualcosa di futuristico, proibito. Canto una canzone di Gaber che s’intitola “Benzina e cerini” dove lui dice che la sua ragazza lo cosparge di benzina e gli dà fuoco. Oggi quella canzone non potrebbe esistere, verrebbe letto come un invito alla violenza. In quegli anni si capiva il senso, non ci si facevano tanti problemi. Giustamente. Credo che nell’arte non ci debbano essere limiti. Ascoltando certe canzoni lo si capisce. La comicità di Cochi e Renato è assurda, surreale, senza senso. Oggi nessuno oserebbe scrivere quelle cose. È materiale fuori dal tempo. Mi piace tirarlo fuori per poter dire: guarda che questa roba è di cinquant’anni fa. Eravamo così, e mi vien da chiedere perché oggi siamo cosà. Mi piacerebbe far ridere tutti, ma da un lato suscitare anche qualche pensiero».
«Non devo dirlo io, spero ci saranno persone più autorevoli di me. Quello che vedo nella vita di tutti i giorni è che le cose sono molto cambiate: c’è stata una promessa di libertà estrema collegata al mondo della rete che s’è trasformata in una decisa mancanza di libertà effettiva. Siamo meno liberi di cinquant’anni fa quando come artisti eravamo sottoposti a censura. Il nostro primo disco aveva i bip su certe parole quando andava in radio. Oggi farebbe ridere, sto attraversando il periodo più conformista della mia vita».
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