«McCarthy, uno scrittore asciutto e apocalittico»

l’appuntamento.Venerdì 16 dicembre, dalle ore 20,30, presso il Santuario di via Madonna della Castagna, 31 Marco Carobbio, cultore della materia presso la cattedra di Storia moderna dell’Università di Bergamo e collaboratore della biblioteca Mai, parlerà de «Il fuoco oltre la cenere. “La strada” di Cormac McCarthy».

«Il linguaggio della fine. Letture per un’idea moderna di Apocalisse». Che potrebbe essere una formula suggestiva per definire la narrativa di Cormac McCarthy, almeno ne «La strada», a cui sarà dedicato il secondo incontro del ciclo organizzato da don James Organisti, parroco di San Rocco Confessore. Venerdì 16, dalle ore 20,30, presso il Santuario di via Madonna della Castagna, 31 Marco Carobbio, cultore della materia presso la cattedra di Storia moderna dell’Università di Bergamo e collaboratore della biblioteca Mai, parlerà de «Il fuoco oltre la cenere. “La strada” di Cormac McCarthy».

È la terza serie, che accompagna durante l’Avvento, di questi incontri letterari, dopo la prima su Tolkien e «Il signore degli anelli» e la seconda, in tempo invece di quaresima, su Dostoevskij. Nel primo incontro Manuel Pezzali ha trattato della «Dissipatio humani generis» di Guido Morselli. Ora si tratta, commenta Carobbio, di «un autore che è andato e va per la maggiore». Dopo 16 anni di silenzio è appena tornato in libreria con il primo volume, «The Passenger», di un dittico. «È attuale anche in questo senso».

«”La strada” forse non è il suo libro letterariamente più riuscito, ma ha avuto enorme presa sul grande pubblico, e ha vinto il Pulitzer nel 2007. Poi è uscito il film nel 2009». Che, «proprio per lo stile di McCarthy, così fondato sui dialoghi, è riuscito a essere fedele al testo, creando un connubio interessante cinema-letteratura. Tutt’altra cosa rispetto al povero Morselli, che, nonostante le recenti edizioni di Adelphi è, tutt’al più, oggetto di una riscoperta recente. Abbiamo comunque scelto, in questo ciclo, due modi diversi di intendere il post-apocalittico, anche per fornire stimoli utili all’ultima serata» che vedrà protagonista, venerdì 23 dicembre, lo stesso don Organisti, direttamente centrata sul testo biblico: «La fine e il fine. Il significato biblico dell’apocalittica».

Il testo di McCarthy - continua Carobbio - «si presta a un dialogo con la divinità in relazione alla fine, in questo mondo già superato, post-apocalittico, dove tutto è dominato da una dimensione cupa, fatta di cenere, buio, senso della fine». La figura del padre al centro del romanzo «deve cercare di portare avanti il proprio concetto di speranza, per fare in modo che il figlio rimanga umano, in un mondo dove i pochi sopravvissuti sono perlopiù diventati disumani, dediti a cannibalismo e violenza. Deve cercare di preservare una forma di purezza, l’idea che suo figlio sia una creatura di Dio, attraverso, soprattutto, l’uso della parola».

Lo stile di McCarthy, secco, nervoso, asciutto, è «adatto a una riflessione di questo tipo». La narrazione è «continuamente intervallata da un parlato molto semplice, dovendo rispecchiare la realtà di un dialogo fra un padre e un figlio piccolo. Ma, d’altra parte, ci sono zone di riflessione in forma quasi oracolare, espressioni profetiche gettate qua e là».

Nella «Trilogia della pianura», o ne «Il meridiano di sangue» McCarthy ha rappresentato gli Stati Uniti in modo spietato. Qui è «un McCarthy successivo», che crea «un mondo irreale, che ha ucciso se stesso». Siamo in una dimensione di distopia finale, ove si prova a salvare una qualche forma di humanitas, a far sopravvivere, portandolo dentro di sé, «il fuoco» della speranza, della parola, mentre fuori ardono le fiamme della distruzione che divorano le città e la natura.

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