Pasotti pediatra in tv con Anna Valle

L’attore e regista bergamasco in onda da stasera (martedì 8 febbraio) su Rai Uno nella serie tv «Lea un nuovo giorno». «Realizzato il sogno di interpretare un medico, dopo la laurea in medicina». Fiction dedicata agli operatori sanitari.

Debutta questa sera su Rai Uno (ore 21.25), coprodotta da Rai Fiction e Banijay Studios Italy, la serie tv in quattro serate «Lea un nuovo giorno», ambientata in un ospedale, con Anna Valle, Giorgio Pasotti e Mehmet Günsür per la regia di Isabella Leoni.

«Ho realizzato il mio sogno di interpretare un medico in una fiction – sottolinea Pasotti –, dopo aver preso la laurea in medicina. Mentre giravo ho pensato che quella poteva essere la mia vita anche se pensavo di fare il medico sportivo e non il pediatra... Poi con gli anni che abbiamo vissuto tutto assume un significato particolare».

La serie non tratta di pandemia ma è dedicata a tutti gli operatori della sanità che tanto hanno fatto in questi anni difficili. Dice l’attore bergamasco: «Anche se ho vissuto lontano questi due anni, mi sono anche sentito in colpa, ho perso parenti e amici. Una delle mie zie è tra quelle trasportate dai camion che abbiamo tutti visto sfilare e hanno rappresentato l’emblema della tragedia. E il padre di uno dei miei più cari amici è tra i medici che tanto si sono spesi per curare i malati di Covid, poi si è ammalato ed è morto. Il medico che interpreto, poi, ha a che fare con i bambini, il che pone tutto su un piano emotivo ancora più profondo. La perdita di un bambino, o anche la sua sofferenza, è difficile per un uomo da affrontare, non solo per le donne. Il mio personaggio commette per la sua perdita personale degli errori».

Com’è stato lavorare al fianco di Anna Valle?

«Anna è stata una bellissima scoperta, ci conoscevamo ma non avevamo mai lavorato insieme. Anna è una compagna di viaggio perfetta, molto professionale, umanamente molto sensibile. Ci siamo trovati molto bene a lavorare su un set dove il focus centrale non erano solo i sentimenti tra i due ma anche i sentimenti nei confronti di un reparto, quello di Pediatria. Quando si pensa ai bambini diventa innaturale pensarli malati, chiusi in una stanza d’ospedale invece che a giocare a pallone. È stato tutto emotivamente molto coinvolgente, abbiamo affrontato tutto con grandi sorrisi nonostante le fatiche del lavoro, ma anche quelle interiori del personaggio rispetto alla storia che raccontavamo. È stato uno degli incontri professionali più belli che abbia mai fatto».

La serie è stata definita «un medical drama dai risvolti sentimentali»...

«Esatto, è un “medical” perché chiaramente si svolge in un ospedale dove si trattano casi anche molto seri ma allo stesso tempo non è una serie drammatica perché, anzi, l’emozione che ne esce è quella di un racconto di gioia, di speranza, di uno sguardo verso il futuro, di rinascita. Il tono che arriva al pubblico non è quello del dramma ma è quello più romantico. Ci si commuove per le delicatezze, non per i drammi».

Uno dei temi della serie è quello della maternità: voluta, cercata, mancata, rifiutata. Un problema molto attuale e complesso.

«È vero, anche perché è un tema poco trattato e aggiungo che oggi è un tema di cui si discute molto e che andava messo al centro di una storia. Penso al tema della perdita di un figlio, che la si associa al dolore della madre e invece, come è naturale che sia, questo dolore sconvolge anche il padre, e quindi si analizza il processo di metabolizzazione di questo lutto che ovviamente porta a volte a perdersi per sempre e a volte a riconciliarsi. Un tema molto interessante».

Il suo secondo film da regista «Abbi fede» è uscito proprio nei primi giorni dello scoppio della pandemia, sta lavorando a qualche altro progetto?

«Sì, certo. Stiamo già lavorando al mio terzo film da regista. Anzi il progetto è già in fase avanzata, ho già scelto gli attori, ora non posso annunciare niente, ma spero di girarlo entro quest’anno. Con “Abbi fede” sono stato da un lato sfortunato, perché era un film pensato per la sala, ma fortunato perché è stato scelto tra i quattro film che Raicinema ha deciso di lanciare sulla piattaforma Rai Play e così ho scoperto un pubblico nuovo, molto più vasto e più trasversale, che probabilmente, forse, non sarebbe corso al cinema a vedere quel film».

Dal 2020 è il direttore artistico del Teatro Stabile d’Abruzzo, come sta andando questa nuova avventura?

«È un ruolo di grande responsabilità e di grande impegno proprio perché stiamo vivendo un momento difficilissimo dove tutto sembra remarci contro. Al tempo stesso con la pandemia si è capito il valore della cultura, dell’arte, fondamentale per un Paese come il nostro, una cosa che si dava un po’ per scontata. L’impegno del teatro Stabile mi sta prendendo tanto proprio per l’importanza che ricopre, gestisco soldi pubblici e sento una responsabilità ancora maggiore. Sto ultimando le prove di un monologo tratto da Kafka, che si intitolerà “Racconti disumani”, tratto da “Relazioni per un’accademia”, uno dei cavalli di battaglia di Vittorio Gassman, e “La tana” con la regia di Alessandro Gassmann. Debutterò il 17 febbraio all’Aquila. Un impegno anche questo molto duro, molto faticoso che mi vede nella parte di uno scimpanzé umanizzato che presenta la relazione sulla propria vita e sulla sua evoluzione a essere umano. Quello con Alessandro Gassmann è stato un altro incontro meraviglioso, uno dei più begli incontri professionali che ho fatto, non solo perché è un artista completo ma di grande umiltà, sensibilità, umanità e grande visione registica».

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