Santa Maria Maggiore, riecco i colori dei legni dei due cori di Lotto e Capoferri - Foto

REGIA LUMINOSA. Concluso il monumentale restauro: si rivaluta la maestria dell’intagliatore, trovate due sue firme. Spuntano anche una tarsia nascosta («Caino e Abele») e un affresco del ’300. Visite aperte fino alla fine dell’anno.

Grande entusiasmo venerdì 27 ottobre nella Basilica di Santa Maria Maggiore, in Città Alta. Si festeggiava la conclusione, dopo un anno e mezzo di lavori, del monumentale restauro del Coro ligneo di Giovan Francesco Capoferri e Lorenzo Lotto, che torna interamente fruibile, con la chiusura del «Cantiere vivo» che, nell’anno della Capitale della Cultura, ha consentito a 700 mila visitatori di seguire passo passo il procedere dell’intervento. Il recupero, voluto da Fondazione Mia (che gestisce la Basilica, di proprietà del Comune di Bergamo) è stato eseguito da Luciano Gritti, con la supervisione della Soprintendenza di Bergamo e Brescia, e sostenuto, come partner esclusivo, da Fondazione Banca Popolare di Bergamo.

Santa Maria Maggiore, il coro risplende

Concluso il monumentale restauro del Coro ligneo di Giovan Francesco Capoferri e Lorenzo Lotto

Rossetti

La prima riconquista è, indubbiamente, la «naturalezza» disarmante - cromatica e luministica – di ogni singola tarsia e dei relativi coperti. Liberati dalla patina calda che li ricopriva, ora tornano a sfoderare tutte le variazioni dell’originale, sbalorditivo spartito ligneo, contrappuntato di essenze lignee, venature, stucchi fluorescenti, incisioni, scottature. Ma immediatamente non sfugge la seconda, grande «rivoluzione» di questa importante restituzione: aver riconsegnato all’intagliatore loverese Capoferri il posto che merita, per i vertici esecutivi raggiunti, accanto al genio creativo di Lotto che fino a oggi, volente o nolente, lo aveva relegato in un cono d’ombra.

Gli esiti del restauro certosino condotto da Gritti e dalla sua bottega, a tu per tu con ogni più piccolo, incredibile dettaglio delle tarsie, non lasciano alcun dubbio sulla raffinatezza e sulla maestria tecnica senza pari di Capoferri che, insieme a Lotto, in questo capolavoro a quattro mani riesce ad abolire i confini tra pittura e intarsio.

Il ritrovamento della firma a carboncino dell’artista loverese sul retro di due tarsie è stato dunque un inaspettato suggello, come conferma Gritti: «Ci siamo trovati davanti a un’opera composta da mille opere, straordinaria: oltre alle numerose tarsie, anche i più piccoli dettagli hanno rivelato un’attenzione progettuale ed esecutiva di raro valore e bellezza». «Il coro segna la storia della tarsia italiana, una disciplina spesso considerata a margine della grande arte – dichiara Angelo Loda, della Soprintendenza –. Ma questo coro, con la sua incredibile commistione tra scultura, pittura e architettura, ha senza dubbio segnato il nostro Rinascimento».

Si chiarisce, poi, definitivamente un altro errore «percettivo»: il coro ligneo non è uno, ma sono due, nettamente distinti per funzione, per caratteristiche esecutive e per cronologia: il Coro dei Religiosi, realizzato per primo, tra il 1523 e il 1533, che è quello che comprende l’ammiratissima «iconostasi» che chiude il presbiterio, composta dalle quattro grandi tarsie che tutti conosciamo; e il meno noto Coro dei Laici, realizzato tra il 1553 e il 1555 nell’area absidale della Basilica, dove sedevano i congregati laici di quella che oggi è la Fondazione Mia. Da oggi fino ad almeno la fine dell’anno saranno finalmente entrambi accessibili e visitabili.

Il «Grande Caos» era capovolto

Non sono mancate tante altre sorprese, come il rinvenimento, dietro a una tarsia, di un affresco di fine Trecento e quello della tarsia «nascosta» di Caino e Abele realizzata da Capoferri su disegno del pittore pavese Francesco Rosso; ma anche, nella fase conclusiva del restauro, l’intuizione relativa alla regia luminosa impressa nelle tarsie, tarata sulla luce che a mezzogiorno irrompe dalle finestre della Basilica, con il conseguente corretto riposizionamento di una delle tarsie più celebri, quella del «Magnum Chaos», che finora abbiamo inavvertitamente ammirato capovolta di sotto in su.

«Il Coro è l’opera più importante commissionata dalla Misericordia Maggiore a uno dei più grandi maestri del Rinascimento – sottolinea Fabio Bombardieri, presidente di Fondazione Mia - . Ammirandola ora, ritrovata in tutto il suo splendore, vediamo infatti non solo colori e forme, luci e ombre, ma la nostra identità collettiva». «Tutela e insieme trasmissione del nostro patrimonio artistico sono, crediamo, il miglior modo di interpretare la salvaguardia e la protezione dei beni storici e culturali del territorio» aggiunge Armando Santus, presidente di Fondazione Banca Popolare di Bergamo.

In arrivo un documentario

«La parola “coro” evoca due realtà che si identificano: il coro ligneo e la realtà viva del coro di voci umane – ha sottolineato il vescovo Francesco Beschi -. Qui la preghiera trova una forma ordinata, scandita, ma soprattutto condivisa, perché dal coro si innalza una preghiera destinata non solo a coloro che pregano ma a tutta l’umanità, all’universo intero».

Tutti i dettagli e i colpi di scena della lunga avventura del restauro confluiranno in un documentario che sarà presentato in Basilica il prossimo 15 dicembre: «“Restauratio Humana” raccoglierà e divulgherà anche al grande pubblico le scoperte e le riflessioni maturate in questi mesi di lavoro » ha annunciato Stefano Marziali, project manager del «Cantiere vivo».

«Nel frattempo – ricorda il sindaco Giorgio Gori – si è concluso il cantiere pilota sulla facciata dell’abside della chiesa: il Comune è al lavoro con la Soprintendenza per individuare la metodologia più adatta per restaurare anche le parti esterne della Basilica e nei prossimi anni saremo impegnati nella cura della pietra che dona alla chiesa l’aspetto che tutti conosciamo».

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