Il quotidiano non comune della famiglia Cecchi

LA LETTURA. La vita quotidiana «di una famiglia e di un entourage non comune», nel corso di decenni tutt’altro che comuni.

Una galleria di personaggi che hanno fatto, in quegli anni, la storia della cultura italiana, raccontati in versione non paludata, anche nelle loro debolezze, difetti, tic intellettuali, da un’amica, ospite, commensale. Dopo le «Agendine 1911-1929» (2015), Sellerio pubblica ora «Corso d’Italia 11. Agendine 1930-1945» (pagine 998, euro 28), di Leonetta Cecchi Pieraccini, moglie del famoso giornalista e critico letterario Emilio Cecchi, madre della sceneggiatrice Suso Cecchi D’Amico. Con pallidissima e insufficientissima esemplificazione: Leonetta, pittrice, va a cena con Montale o Moravia, o, a Ny, con Enrico Fermi; è amica, tra i moltissimi altri, di Sibilla Aleramo, Corrado Alvaro, Antonio Baldini, Bernard Berenson, Massimo Bontempelli, Mario Praz, Edoardo Scarfoglio, frequenta Margherita Sarfatti, fa il ritratto a Cesare Pascarella (che chiama confidenzialmente «Pasca») e Trilussa, si intrattiene, a una mostra, con la regina…

Di molti amici e conoscenti lascia un ritratto confidenziale, informale, altrimenti irreperibile. Tra gli infiniti esempi: il 9 ottobre 1931 «Cardarelli a cena», munito di occhiali neri che lo fanno somigliare, «un po’ trasandato com’è di vestiario e di persona, al sor Capanna di Petrolini». Gli amici, «per sfotterlo», lo chiamano «Vate». Una domenica dello stesso mese, Mario Soldati «esageratamente avvilito perché nella partita di calcio Roma-Torino ha perduto la Torino».

Di Ardengo Soffici: «la deferenza che imporrebbe la sua personalità si smentisce di continuo di fronte alla inconsiderata puerilità di tanti suoi ragionamenti». Un giorno, andando alla posta, incontro con Leo Longanesi e Indro Montanelli, da poco tornato dalla Finlandia dove «correva rischio di morir di fame», avendo dovuto accontentarsi di «due cavoli al giorno, conditi di solo sale». C’è, però, anche la grande Storia, perlopiù riferita con annotazioni asciutte, lapidarie, drammatiche. 6 giugno 1940: «Sento le cose precipitare. Molti sperano che noi si resti non belligeranti. Io non lo spero più. E mi duole che si sia avversari della Francia e dell’Inghilterra. Di queste due nazioni conosco il paese, le lingue, in parte la cultura e i costumi. I ricordi di Parigi, Chartres, Londra, Cambridge sono tra i più belli della mia vita». 14 giugno 1940: «Parigi è caduta. Il mondo intiero è percorso di dolore e stupore».

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