Quando la memoria svanisce si inventano nuovi legami

Lucia, l’anziana protagonista de «I cura cari» (Einaudi) di Marco Annicchiarico, si guarda allo specchio e ride con la signora che vede riflessa, in cui ormai non si riconosce più.

Il corridoio di casa è diventato un passaggio dal presente a un passato indefinito, in cui i ricordi galleggiano come barche alla deriva, e le foto incorniciate sono mute.

Un giorno Lucia si è girata e ha chiesto a Marco chi fosse: è stato l’inizio della vita con l’Alzheimer, in cui madre e figlio hanno dovuto ridisegnare gli equilibri e trovare nuove strategie per aggirare le dimenticanze, come scrivere su cartelli i nomi degli oggetti: «Diamo un nome alle cose affinché mia madre possa ritrovarle, per fare in modo che ai nostri occhi torni a essere la stessa di sempre». Lui si è ritrovato nei panni di «caregiver», anzi «cura-cari», costretto a inventare un nuovo linguaggio per poter stare ancora vicino alla madre e comunicare con lei, che ha perso tutto ma non l’ironia. Un romanzo pieno di sensibilità e di tenerezza.

«Sono gli occhi con cui guardiamo a fare le storie» scrive Francesca Magni in «Non so la notte» (Bompiani), in cui ripercorre in modo coinvolgente il rapporto con il padre, un tempo medico autorevole, ora «tornato bambino» a causa dell’Alzheimer. Affronta la sensazione di non sentirsi all’altezza, di dover chiedere aiuto per accudirlo. Cerca ciò che di più profondo unisce genitori e figli, lo trova nei gesti di cura. È sempre l’Alzheimer a riavvicinare madre e figlia in «Zucchero bruciato» (Nord) di Avni Doshi. Un romanzo che scava nei meandri dei legami familiari, mettendone in luce la complessità e le contraddizioni, facendo affiorare il valore e gli inganni della memoria.

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