San Giovanni Battista. La storia vista da Flaubert

«Ho intenzione di scrivere […] la storia di San Giovanni Battista. La meschinità di Erode nei confronti di Erodiade mi eccita […] ho proprio voglia di approfondire quell’idea». Una traccia per capire cosa possa avere affascinato il grande Flaubert, così da indurlo a scrivere, a tre anni dalla morte, con a telaio l’interminabile «Bouvard et Pécuchet», il terzo dei suoi «Trois Contes» (1877). «Hérodias» è ora riproposto, con traduzione e lunga postfazione di Giovanni Iudica, dalle Edizioni Settecolori (pagine 118, euro 12).

Uscita resa infinitamente più appetibile dal testo a fronte, che consente immediato, piacevole, utile riscontro sinottico con l’originale. Flaubert è, insieme, sognante e maniacalmente preciso nelle descrizioni di un vicino Oriente di remota antichità. Il Battista, Iaokanann, rinchiuso in una orrenda prigione, con geniale trovata narrativo-teatrale, non appare mai direttamente in scena, ma è il convitato di pietra, una presenza ben viva, se non ossessiva, nella mente di Antipa e, soprattutto, Erodiade. Il primo, per calcolo politico, è riluttante a farlo giustiziare. A momenti ne ha paura, a momenti lo dichiara innocuo, a momenti pensa che possa riuscirgli utile. Erodiade, invece, nutre un misto di odio, paura, rancore verso quest’uomo che, vestito di una pelle di cammello, con testa leonina e pupille fiammeggianti, aveva sputato su di lei «tutte le maledizioni dei profeti».

E ora le sue invettive serpeggiano, inafferrabili e incontenibili, lei «le sentiva ovunque». L’affaire Battista scava ancor più il solco che divide i due coniugi: lei, patrizia, disprezza in lui le origini plebee, gli rimprovera la sua indifferenza verso gli oltraggi da lei subiti. Lui non l’ama più. Quello che non può l’insistenza di una donna ormai indesiderata, potrà l’irresistibile sensualità della figlia, Salomè, ossessione di Gustave Moreau, la cui mostra, con la «Salomé» e «L’Apparition», Flaubert aveva visitato giusto l’anno prima (1876) della pubblicazione della «Hérodias». Il maestro del realismo rimane fortemente suggestionato da elette, antonomastiche icone del Decadentismo, a dimostrare relatività e convenzionalità di etichette e confini troppo rigidi. Nemmeno alla fine il Battista flaubertiano entra, propriamente, in scena: lo fa, piuttosto, la sua testa decollata, con la sua autonoma, formidabile carica simbolico-orrorosa: «La tête entra». Un po’ come nell’«Apparition» del Moreau

© RIPRODUZIONE RISERVATA