Giovan Battista Paninforni: «C’era fame di filosofia in questa città»

Interviste allo specchio. Questa intervista è parte del progetto «Interviste allo specchio», condiviso con Il Giornale di Brescia e nato in occasione del 2023, l’anno che vede i due capoluoghi uniti come Capitale della Cultura 2023. Ogni domenica i due quotidiani propongono l’intervista a due personaggi autorevoli del mondo culturale (nell’accezione più ampia), uno bergamasco e uno bresciano, realizzate da giornalisti delle due testate. Di seguito trovate l’intervista al personaggio bergamasco. Per scoprire il contenuto dell’intervista all’omologo bresciano, invece, vi rinviamo a Il Giornale di Brescia: il link in fondo all’intervista.

Anno 1992: nell’aula magna dell’Istituto Vittorio Emanuele II, che licenzia ragionieri, parte un Corso di filosofia, ogni martedì sera: una piccola rivoluzione culturale in una città allora digiuna di questi studi - la facoltà universitaria sarebbe arrivata solo 10/15 anni dopo. Poi aperto a tutta la città, con il nome Noesis, continua con successo ancora oggi: «Abbiamo fatto più di 800 incontri – dice Paninforni -, e pensi che io non sono mai mancato una sera. Più o meno tutti i maggiori filosofi e pensatori italiani sono passati di qui: Severino, Cacciari, Sini, Natoli, Veca, Givone, Giovanni Reale, Evandro Agazzi, Vattimo, Bodei, Giorello, Berti, Petrosino, Michela Marzano, Telmo Pievani, e poi Umberto Galimberti, lo psichiatra Eugenio Borgna, Alessandro Meluzzi, Massimo Recalcati, Corrado Augias, Giuseppe Remuzzi, Edoardo Boncinelli, Gustavo Zagrebelsky, Giorgio Galli, Mario Donizetti…».

Non era un’impresa semplice.

«Molto impegnativa. La filosofia non è il racconto delle favole: si trattava di organizzare docenti di un certo livello, cercando di coinvolgere un pubblico non professionale, che proviene da tutti i ceti: abbiamo coinvolto seri professionisti, socialmente affermati, e persone che non avrebbero mai frequentato l’università. Siamo stati i primissimi in Italia a portare la filosofia fuori dai suoi luoghi consueti: il festival di Modena sarebbe nato solo nel 2001».

Quanta gente veniva quel primo anno?

«La primissima sera erano in 26, uno in più dei lettori del Manzoni. Poi si sono aggiunti degli esterni, e con loro abbiamo iniziato a crescere, 40, poi 80… A un certo punto non ci stavamo più e abbiamo lasciato la scuola, spostandoci al Centro congressi, al Teatro delle Grazie, al Teatro Sociale, negli ultimi anni al Liceo Mascheroni. Ci sono persone che ci seguono da decenni. Tre anni fa, purtroppo, è mancato Renzo Leoni, che era stato tra i primissimi».

Quante persone partecipano oggi?

«La serata più piena quest’anno è stata quella con Massimo Recalcati, 350 presenti; 250 per Cacciari, gli altri sui 180. A volte ci sono di mezzo le coppe europee di calcio e… si scende fino a 120. Alla fine del terzo anno ho cominciato a invitare i professori della nostra Università, l’anno successivo quelli di Milano: mi sembrava di toccare il cielo. Poi docenti da Brescia, Torino, Venezia, Padova, Firenze, Roma, Napoli… E anche da Francia, Svizzera, Germania. Il raggio del corso si è ampliato in provincia: siamo andati a Treviglio, a Casazza per 14 anni, a Nembro, a Seriate, nelle valli… Nel 2004 abbiamo fondato l’Associazione Noesis».

Perché ha scelto questo nome, un po’ difficile?

«I Greci indicavano con questo termine la forma di conoscenza più alta, la conoscenza diretta delle realtà intelligibili».

Avete trovato terreno fertile?

«C’era questo desiderio diffuso, evidentemente, e con Noesis si è potuto concretizzare, la gente è arrivata “quasi naturalmente”, già dall’inizio. Proprio in questi giorni una signora mi diceva: “Io vengo volentieri perché c’è anche un incontro personale, non è soltanto un venire ad ascoltare. Nessuno vuole dimostrare nulla, ma in abiti quasi dimessi ci si siede, si ascolta; tanti prendono appunti, si fanno un bagaglio personale di idee e se ne vanno a casa contenti».

So che c’è stata qualche frizione con i Filosofi lungo l’Oglio...

«La nostra è una proposta ancora un po’ artigianale, Brescia ha alle spalle una struttura e dei finanziamenti maggiori. Si sono estesi fino a Cremona, ma che abbiano fatto degli incontri a Bergamo non mi è piaciuto: sono liberi di venire dove vogliono e quanto vogliono, naturalmente, noi non li ostacoliamo: ma non è stata una bella mossa. E non hanno fatto numeri paragonabili ai nostri».

Bergamo, secondo lei, è cresciuta culturalmente? Di iniziative ce ne sono tante rispetto al 1992...

«Mi sembra ci sia una certa dispersione in vari rivoli: si sono moltiplicate le associazioni, le tendenze culturali, ma è quella cultura che porta a spasso la gente, e va benissimo, intendiamoci, spesso però non vedo un riferimento letterario o filosofico profondo».

Oggi la qualifica «filosofo» si distribuisce con una certa facilità.

«Credo che quando viene meno la sostanza si aumenti l’immagine. È una vecchia regola».

Leggi sul sito del Giornale di Brescia l’intervista a Francesca Nodari, pubblicata anche sul nostro giornale «L’Eco di Bergamo» in edizione cartacea.

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