Simone Moro: «Cultura è il racconto del territorio»

INTERVISTA ALLO SPECCHIO. Questa intervista è parte del progetto «Interviste allo specchio», condiviso con Il Giornale di Brescia e nato in occasione del 2023, l’anno che vede i due capoluoghi uniti come Capitale della Cultura 2023. Ogni domenica i due quotidiani propongono l’intervista a due personaggi autorevoli del mondo culturale (nell’accezione più ampia), uno bergamasco e uno bresciano, realizzate da giornalisti delle due testate. Di seguito trovate l’intervista al personaggio bergamasco. Per scoprire il contenuto dell’intervista all’omologo bresciano, invece, vi rinviamo a Il Giornale di Brescia: il link in fondo all’intervista.

«Sentiamoci tra un’ora, sono appena atterrato». Simone Moro risponde da Pokhara, in Nepal, dove si trova per pilotare con il suo elicottero. Una chiamata rubata tra un impegno e l’altro a cui però non rinuncia, rispondendo puntualmente all’orario indicato. È sempre stato così. Raccontare per l’alpinista bergamasco, l’unico al mondo a poter vantare quattro prime invernali sugli ottomila, è una priorità al pari dell’attività alpinistica. Uno strumento fondamentale per far conoscere le proprie spedizioni e imprese, ma anche divulgare in senso più ampio e fare cultura in montagna.

Moro, cosa vuol dire?

«Vuol dire soprattutto conoscere il territorio che ami e, al tempo stesso, tutelarlo e promuoverlo. Ho appena terminato un documentario per la Rai (“Le montagne della cultura”, ndr) assieme a Lino Zani proprio per far conoscere le montagne bergamasche e bresciane trattando moltissimi temi che gli stessi valligiani a volte non conoscono o trascurano: quanti sanno, ad esempio, che le prime cartine geografiche delle valli Imagna, Brembana e Seriana furono firmate da Leonardo da Vinci? E che lo stesso Leonardo, dopo aver soggiornato a Carona, salì fino al passo di Dordona e poi visitò anche la Valle Seriana? Ecco: è proprio questo genere di informazioni che, oltre a mantenere viva la storia dei luoghi, rappresenta un grande valore aggiunto per valorizzarli anche dal punto di vista turistico».

Cultura e tutela dell’ambiente sono due facce della stessa medaglia?

«Sì, si tratta però di sposare la salvaguardia del territorio con la modernità. Perché la cultura delle terre alte è rimasta a lungo soffocata da quella industriale, mentre ora, vuoi per una questione di sostenibilità, vuoi per una congiuntura che, dopo il Covid, ha posto l’accento sulla qualità della vita, trova una occasione per riguadagnare terreno e diventare protagonista. Bisogna però evitare almeno due errori: da un lato non dobbiamo copiare modelli come quello della Val d’Aosta o dell’Alto Adige, che per diverse ragioni, sul nostro territorio sono inapplicabili; dall’altro va assolutamente evitato il fondamentalismo che punta a cristallizzare ogni cosa».

Cioè?

«Serve una via di mezzo, un modello più equilibrato che da un lato rispetti il territorio, ma dall’altro non demonizzi nemmeno la sperimentazione e la diversificazione dell’utenza che, in montagna, non può più essere legata esclusivamente allo sci o al semplice escursionismo, ma deve offrire proposte molto diversificate, senza disdegnare una fruizione di alto livello. Perché gli Americani devono conoscere il lago di Como per George Clooney e non possono apprezzare le nostre montagne per Leonardo?».

Lei nasce in città, com’è venuto in contatto con la cultura della montagna?

«Ho cercato di scoprirla senza avere la pretesa di esportare il modello da cui provenivo. Mentre in città la cultura ha luoghi deputati e circoscritti, la montagna rappresenta un museo a cielo aperto sotto ogni punto di vista: storico, enogastronomico, ambientale, ma più semplicemente anche per i suoi suoni o i suoi profumi. Io ho incontrato questo grande patrimonio innamorandomene: solo che per apprezzarlo devi conoscerlo».

Ci sono due modi di fare cultura – la scrittura e la fotografia – da sempre legatissimi alla montagna: lei non ha mai rinunciato a nessuno dei due.

«Si è così e il fatto stesso che da vent’anni scriva per la rivista “Orobie” dà la misura dello spirito con cui lo faccio: semplicemente perché è una bella rivista che racconta la regione in cui sono cresciuto. Pur svolgendo la mia attività alpinistica sulle montagne di tutto il mondo, non ho mai rinunciato alle mie origini e a promuovere il mio territorio. Non a caso, durante le conferenze che tengo abitualmente cito sempre Walter Bonatti, uno dei più forti scalatori della storia dell’alpinismo, bergamasco pure lui».

A proposito di Bonatti: è lui il modello culturale a cui si ispira?

«Sì: Bonatti è stato un grande narratore, oltre che un grande alpinista, ma assieme a lui non si può non citare Reinhold Messner che, al di là delle imprese conosciute da tutti, ha saputo realizzare un modello di sviluppo turistico molto articolato, fatto di musei, castelli e aziende agricole».

Quanto potrà incidere la Capitale della cultura proprio nell’ottica della creazione di un nuovo modello anche in Bergamasca?

«Quest’anno non cambierà nulla, se non approfitteremo dei riflettori puntati nella giusta maniera. È un’occasione per imparare a raccontare il nostro territorio e bisognerebbe cominciare dalla scuola».

LEGGI QUI L’INTERVISTA A L BRESCIANO SILVIO MONDINELLI SUL GIORNALE DI BRESCIA

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