Mapello, raccolta fondi per gemellini malati: «C’è una speranza»

LA RACCOLTA FONDI. A cinque anni, il loro fratellino maggiore è sano e corre felice. Theo e Liam invece, nati gemelli lo scorso anno, vivono ogni giorno una sfida che pochi al mondo conoscono.

Mapello

A cinque anni, il loro fratellino maggiore è sano e corre felice. Theo e Liam invece, nati gemelli lo scorso anno, vivono ogni giorno una sfida che pochi al mondo conoscono. A luglio, la diagnosi arrivata dagli specialisti di Bergamo: una mutazione rarissima nel gene NexMif, chiamata anche Xlid-98, che interrompe la produzione di una proteina essenziale per creare le connessioni cerebrali. «Ci hanno detto che non c’è cura, che non si può fare nulla», racconta la mamma, Erica Tironi, che vive a Mapello e che da quel momento ha deciso di non arrendersi. «Non potevo accettare che l’unica risposta fosse il silenzio». La malattia di Theo e Liam rientra tra le cosiddette encefalopatie dello sviluppo legate al cromosoma X. Colpisce soprattutto i maschi, e i bambini che ne soffrono rischiano di non parlare, non camminare, sviluppare epilessia e disabilità intellettiva profonda.

Nel mondo, a oggi, si conoscono appena 400 casi. Dopo mesi di visite, ricoveri per bronchioliti e sintomi inspiegabili, la diagnosi è arrivata come una frattura. Ma Erica ha deciso di trasformare la paura in impegno: ha aperto una raccolta fondi per sostenere la ricerca del dottor Heng-Ye Man, genetista della Boston University, che ha pubblicato nel 2025 la prima evidenza di una possibile terapia genica per Nexmif, capace di ripristinare le connessioni cerebrali nei modelli animali. «È la prima vera speranza concreta – spiega Erica –. Il problema è che, essendo una malattia rarissima, nessuna casa farmaceutica investe, e tutto resta a carico delle famiglie». Le donazioni serviranno a finanziare la ricerca americana, lo studio sul riposizionamento di farmaci già esistenti e le terapie neurologiche e fisioterapiche intensive che Theo e Liam devono seguire ogni giorno. In Italia, infatti, solo una parte di questi trattamenti è coperta dal sistema sanitario: il resto resta a carico della famiglia. «Partirò per l’America per la fisioterapia intensiva per i miei figli – racconta ancora Erica –. Lì sono già in contatto con la fondazione americana, a cui ho rivolto il mio contributo per tutta la parte di marketing e del sito. Voglio capire come contribuire a costruire una cura che non serva solo ai miei figli, ma a tutti i bambini come loro. Non possiamo lasciare che la rarità significhi abbandono». Le donazioni sulla piattaforma on line all’indirizzo gofund.me/d19e30048.

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