A tu per tu con i capolavori della città per riscoprire frammenti di se stessi

LA STORIA. L’avventura dell’«Accademia dei Desiderosi», iniziativa di Welfare culturale rivolta agli ospiti della Fondazione Opera Bonomelli.

L’arte può essere specchio in cui ritrovare un frammento della propria anima. Può rappresentare un filo che collega traiettorie lontane, ripara ferite e illumina percorsi di riscatto. Diventare alimento che nutre e genera sogni e desideri. Ancora più prezioso per chi nella vita ha sperimentato solitudine, amarezza, emarginazione, e si avvicina a un museo con un pizzico d’imbarazzo e timore, perché «non si sente all’altezza».

Così è iniziata l’avventura dell’«Accademia dei Desiderosi» (nome preso a prestito da quella fondata alla fine del ‘500 dai Carracci), iniziativa di «welfare culturale» della Fondazione Opera Bonomelli rivolta a ospiti e amici, guidata da Giovanna Brambilla, storica dell’arte, esperta in educazione e mediazione del patrimonio culturale. Un percorso flessibile, informale, alla scoperta di luoghi significativi della città: musei, collezioni private, studi d’artista, botteghe di restauro. Per cogliere opportunità straordinarie come quella di salire sul palco del Teatro Donizetti o di osservare da vicino il restauro delle tarsie di Lorenzo Lotto nella basilica di Santa Maria Maggiore in Città Alta.

Un gruppo variegato

«Abbiamo scelto luoghi aperti a tutti - spiega Giovanna Brambilla - dove volendo si può tornare, per mostrare alle persone che partecipano nuove possibilità concrete, per incoraggiare buone abitudini, gettare semi da coltivare». Momenti da assaporare come se fossero sorgenti a cui abbeverarsi ogni volta che viene sete, per far emergere pensieri nuovi di zecca e riconoscersi diversi, disfarsi pian piano delle zavorre di un passato difficile, trovando uno spazio personale fuori da stereotipi e pregiudizi della società.

Quello dei «Desiderosi» è un gruppo variegato, che ogni volta cambia, ma col tempo cresce, scopre, approfondisce. Li abbiamo seguiti nel grande capannone che accoglie le opere di Gianriccardo Piccoli in via Moroni nella mostra «Quasi tutto» (visitabile su prenotazione www.gianriccardopiccoli.com ). Un artista di 81 anni, attento e sensibile, con una carriera lunga e splendente nel mondo della pittura, sempre pronto a nuove esperienze che fondono idee e generi diversi. Nei suoi lavori vibrano immagini di vita e morte, caduta e rinascita. È bello osservarle con sguardi leggeri, in trasparenza, per lasciarsi trasportare dalle onde dell’emozione.

Il coraggio di entrare nel museo

C’è Luca che ha bisogno di avvicinarsi ai quadri e di toccarli per scoprire di che materiale sono fatti. Sta in disparte in silenzio ma nota particolari che ad altri sfuggono. Poi c’è Claudio che ha girato mezzo mondo per lavoro come perito meccanico, e si è appassionato all’arte visitando un museo durante ogni suo viaggio.

Marthe ha 31 anni ed è originaria della Costa d’Avorio: «Lì tutti conoscono Bergamo - dice sorridendo - perché c’è la missione diocesana. Anch’io sono cristiana e per me la fede è molto importante». È arrivata in Italia da bambina, 22 anni fa, e lavora come cuoca nella mensa della Fondazione Opera Bonomelli: «È una realtà particolare e ci è voluto un po’ di tempo per conoscerla e capirla. Mi trovo molto bene, e non appena mi hanno proposto di seguire questi incontri culturali ho colto l’occasione al volo. Mi piace molto l’arte ma non ho avuto finora l’occasione di avvicinarla. Da sola non osavo entrare in un museo, anche soltanto l’idea mi intimidiva molto. Così invece ho fatto tantissime scoperte, ho conosciuto luoghi, opere e storie meravigliose. Guardo quella crocifissione di Piccoli, mi dice quanta sofferenza e quanto bene c’è, l’arte dà anche sollievo».

Molti «Desiderosi» indicano la visita al Teatro Donizetti come il momento più emozionante vissuto in questo loro cammino alla scoperta dei tesori della città. «Siamo saliti sul palco - racconta Maria Beatrice Chinea, educatrice della Fondazione Opera Bonomelli - abbiamo indossato per un attimo i panni degli attori, il tempo di un saluto e un inchino davanti alla platea vuota. Un gesto simbolico molto potente, che ci ha permesso in un certo senso di diventare protagonisti, di ’mettere in scena’ la nostra vita e di guardarla con altri occhi».

Anche Marthe conserva un ricordo speciale di quella giornata: «Non ero mai entrata in un teatro prima di quel giorno. Ero emozionatissima, mi guardavo intorno con gli occhi spalancati, ridevo e battevo le mani come una bambina, non stavo più nella pelle. Mi sembrava incredibile essere lì, poter scoprire gli spazi, i meccanismi, esplorare i luoghi più nascosti, dietro le quinte, che gli spettatori normalmente non vedono quando assistono a uno spettacolo. Ora mi piacerebbe tornarci da spettatrice».

Lo specchio della vita

Claudio vent’anni fa ha lavorato nel teatro cittadino: «Ho partecipato ad alcune fasi della ristrutturazione, per esempio alla realizzazione della buca meccanica per l’orchestra e alla motorizzazione del meccanismo per sollevare e abbassare il lampadario centrale. È una parte importante della mia vita, e tornare nel teatro mi ha riportato a quel periodo, a tutti i miei ricordi, con un po’ di nostalgia».

Nello studio della restauratrice Valentina Monzani hanno scoperto il procedimento di riparazione di un’opera d’arte: «Ci ha mostrato - ricorda Giovanna Brambilla - prima di tutto che non c’è niente che non si possa riparare: si possono colmare le lacune, riportare alla luce elementi nascosti. Una bella metafora che vale anche per le nostre vite. Ci ha raccontato le scelte compiute dagli artisti di fronte alla povertà, ci ha spiegato come la conoscenza delle opere d’arte sia frutto di fatica e di approfondimento. Uno studio accurato e meticoloso che permette di comprenderne le scelte, le incertezze, i ripensamenti, perché il processo creativo, come quello di restauro, non è mai lineare». Al Museo delle Storie con Fausta Bettoni i «Desiderosi» hanno seguito l’evoluzione dei locali che lo ospitano e di tanti bergamaschi protagonisti delle vicende della nostra città. Alla GAMeC (Galleria d’Arte Moderna e Contemporanea) hanno avuto la possibilità di sperimentare la realtà virtuale. Un assaggio delle tecnologie del presente e del futuro, che creano scenari inediti anche dal punto di vista esistenziale e relazionale. Hanno incontrato l’arte e gli artisti della nutrita collezione della Fondazione Credito Bergamasco con la guida di Paola Ubiali.

Accompagnati da Luciano Gritti hanno scoperto poi i segreti delle Tarsie del Lotto nella basilica di Santa Maria Maggiore, comprese le diverse fasi del restauro. Con Bergamo Scienza, grazie a Fondazione Dalmine è stato anche possibile cimentarsi con la robotica e scoprire talenti nascosti.

Anche nelle tele di Gianriccardo Piccoli i membri dell’«Accademia dei Desiderosi» ritrovano un po’ di se stessi. Sono affascinati dai dipinti che mostrano la solitudine degli ultimi anni di Lorenzo Lotto, morto in povertà nella Santa Casa di Loreto. Restano a lungo a osservare la serie che rende omaggio alla «Cacciata dei progenitori dall’Eden» di Masaccio e li mostra come «dannati» esclusi dalla vita, bloccati nell’oscurità e nel dolore da un filo rosso che taglia a metà questi grandi quadri, illuminati solo da poche fiammate di colore.

Si stupiscono davanti agli strani paesaggi fatti con la cera e dominati da «Un sole malato». Piccoli li ha realizzati durante la pandemia, dando forma al suo personale disagio, all’atmosfera inquietante della città deserta, alle luci che filtravano dalle finestre dello studio in quelle giornate strane, dallo spazio e tempo dilatato: «Sembrano passati vent’anni - osserva l’artista - invece sono soltanto tre».

C’è chi se ne sta in disparte, chi invece segue l’artista da vicino, sollecitando spiegazioni, sollevando curiosità ed eccezioni. Perché, chiede per esempio Fabrizio, questi riferimenti al passato? E perché scegliere uno stile «informale»? «Mi sento con un piede nel passato e uno nel presente» spiega Piccoli senza scomporsi, illustrando il valore di una citazione, perché l’arte in fondo è un mondo fluido, senza muri e senza confini, in cui le idee nascono, si trasformano e creano legami inediti e imprevisti.

Esperienze positive

«In questi incontri - commenta Maria Beatrice - entrano in contatto mondi lontani, si creano canali di comunicazione tra persone di ambienti diversi. Dal primo incontro a oggi sono cambiate tante cose. Sono esperienze positive e arricchenti per tutte le persone coinvolte. Impariamo gli uni dagli altri, senza mai rinchiuderci in schemi rigidi, adattandoci con attenzione e sensibilità a ritmi ed esigenze diverse, sapendo che non tutte le giornate sono opportune per impegnarsi in visite come queste, che non tutti potranno essere sempre coinvolti, che ci vogliono flessibilità e pazienza».

Quella che all’inizio sembrava una scommessa, «perché non era mai stato fatto prima» pian piano ha assunto contorni più definiti, ha trovato direzione e senso grazie all’interesse vivace e al coinvolgimento dimostrato dai «Desiderosi»: «Attraverso l’arte - osserva Maria Beatrice - si riesce a far emergere pezzettini di sé che prima restavano nell’ombra. Sono sempre incontri molto intensi, che lasciano un segno profondo».

Questo percorso fatto di assaggi di meraviglia continua, con l’obiettivo di rendere concrete e visibili - anche a partire da un piccolo progetto come questo - le buone pratiche di inclusione e accessibilità dei luoghi della cultura, un impegno che Giovanna Brambilla porta avanti da tempo con convinzione. Fra le prossime mete ci sono Palazzo Moroni, la sede dell’associazione Piero Cattaneo, l’orto botanico, lo studio d’artista di Andrea Mastrovito. «Sarebbe bello - conclude Brambilla - se entrando in un museo ognuno trovasse un’accoglienza sorridente, una parola gentile e quelle piccole attenzioni che aiutano a sentirsi riconosciuti come persone, con la propria unicità, e fanno sentire bene accetti, non giudicati, creando pari condizioni per ogni visitatore, con le sue caratteristiche, perché l’esperienza culturale non è destinata a un’élite, è patrimonio di tutti».

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