«Elisa ci ha aperto una finestra sul mondo: è sorprendente, è luce pura perché è felice»

La testimonianza. Lorena Sala: «Quando ho creato l’associazione DoppiaE dedicata alla disabilità ho scoperto quanta generosità mi circonda».

C’è l’arcobaleno nel giardino della casa di Lorena Sala a Torre de’ Roveri. Nastri, fiori e farfalle colorate creano un’atmosfera incantata e fiabesca: un posto fatto per i bambini, e in questa famiglia, infatti, ce ne sono quattro, fra i nove e i due anni. Ognuno di loro è arrivato come un dono, ma negli occhi azzurri di Elisa, la primogenita, e nei tratti delicati del suo viso c’è qualcosa di speciale, un silenzio dolce e profondo come il mare, che a volte sembra tenerla separata dagli altri, chiusa nel suo mondo. «Come insegnante di sostegno - racconta Lorena - mi sono occupata spesso di autismo. Mi sono specializzata nel metodo Aba, cioè Applied Behaviour Analysis, ramo applicativo dell’analisi del comportamento. Così ho notato i primi segnali di un possibile disturbo dello spettro autistico in mia figlia già quando aveva otto o nove mesi».

Prima il dubbio: «Chissà, è così piccola». Poi l’incredulità: «Possibile?», e un dolore sconfinato: «Quando capita a tuo figlio, la preoccupazione è cento volte più grande, come il senso di vulnerabilità. Mi sono sempre detta che questa bimba mi ha scelto». Ricordando quei momenti la voce di Lorena si incrina, ma il suo sguardo resta fermo e coraggioso come sempre: «Fin dall’inizio mi sono impegnata a darle tutto l’aiuto possibile, a creare le condizioni perché potesse essere felice».

Percorso di diagnosi

Come scrive Jessica Del Carmen Perez «i bambini sono come gli uccelli, tutti volano in modo differente. Tutti però hanno lo stesso diritto di volare». Prima ancora di avviare il percorso di diagnosi, quindi, Lorena ha iniziato a preparare i materiali «Pecs» cioè «Picture Exchange Comunication System», un sistema di comunicazione mediante scambio per immagini. «È il mio lavoro - sorride - perciò so bene che è fondamentale l’intervento precoce per garantire a un bambino la migliore qualità di vita».

I segni più caratteristici dello spettro autistico come la mancanza dello sviluppo di un linguaggio verbale e lo sguardo sfuggente si manifestano più tardi, verso i tre o quattro anni: «Elisa mostrava altri sintomi, per esempio tendeva a perdere in breve tempo le abilità che aveva acquisito. A volte, poi, il suo viso risultava del tutto inespressivo, come una maschera. Non è stato facile accettare questa condizione. Mio marito Samuele all’inizio pensava che non fossi obiettiva ma influenzata dal mio lavoro. Poi però seguendo nostra figlia nelle attività di uno spazio gioco si è reso conto delle sue particolarità e mi ha dato ragione».

Elisa sfugge a facili etichette: «Nell’autismo - chiarisce Lorena - ci sono mille sfumature differenti. L’eziologia è sconosciuta, poteva essere un problema genetico, ma noi abbiamo deciso di tuffarci comunque nella vita e abbiamo avuto altri tre figli. Ogni volta abbiamo scommesso sulla speranza e ci è andata bene».

Elena, la secondogenita, ha un anno in meno di Elisa. «Quando sono rimasta incinta ho avuto più tempo per restare con mia figlia, lavorando notte e giorno. Ho prodotto moltissimi materiali in quel periodo e li ho tenuti: riguardandoli adesso mi sono stupita molto e resa conto che potrebbero essermi di nuovo utili per aiutare altri bambini in difficoltà».

Questa famiglia solare, capace di muoversi «in formazione» come una squadra, in cui ognuno ha un posto e un ruolo, in nove anni ha fatto tanta strada: «Elisa - sottolinea Lorena - è sorprendente, è luce pura, perché è felice. Riesce a esprimersi e a manifestare le sue emozioni, perciò non è arrabbiata col mondo. Nel mio lavoro mi è capitato invece di incontrare bambini pieni di rabbia, perché non riuscivano a comunicare dolori, bisogni, desideri. Se un bambino è sereno non mette in atto comportamenti che vengono considerati come inaccettabili in contesti sociali».

Tornare al ruolo materno

Lorena ha collezionato disegni, foto, diari, in cui segnava con diligenza le attività quotidiane: «La sera andavamo a letto e ripassavamo la nostra giornata». Per il primo anno la terapista di Elisa è stata la sua mamma: «Poi mi sono resa conto che sarebbe stato meglio per entrambe che io tornassi al mio ruolo materno, così ho scelto alcuni professionisti per formare un team che la sostenesse: i terapisti Aba e la psicoterapeuta, ognuno con specializzazioni diverse, in modo che le loro competenze si integrassero il più possibile. È stato impegnativo ma ha funzionato. Abbiamo anche riorganizzato la casa per offrirle gli stimoli giusti e spingerla a reagire, intervenire, indicare per avere oggetti e giocattoli».

Questo team di specialisti richiedeva tanto lavoro, coordinamento, report settimanali e riunioni mensili: «In quel periodo ci è pesata la solitudine, ci sentivamo sempre in prima linea. Ci siamo tirati su le maniche, ci siamo rimessi a studiare. Io sono un treno, mio marito mi ha dato carta bianca e mi ha seguito».

I risultati oggi si vedono: «Elisa sta bene - sottolinea Lorena -, irradia serenità. Quando piange mi spavento, perché per lei rappresenta un segno di disagio e di dolore molto forte. Abbiamo messo al primo posto la qualità della vita della nostra famiglia, un aspetto di cui abbiamo tenuto molto in considerazione anche quando è arrivato il momento dell’iscrizione a scuola».

La diagnosi ufficiale è arrivata verso i due anni e mezzo: «È un iter lungo, nel caso di Elisa è durato più di un anno, nonostante io sapessi con chiarezza come muovermi». Lorena e Samuele si sono trovati ad affrontare tante difficoltà, comprese quelle economiche: «Le terapie sono costose e non sono coperte dal Sistema Sanitario Nazionale». Due stipendi «normali» non bastavano, ma poi, in modo imprevedibile, Lorena ha trovato un modo per sostenere le cure per Elisa usando la sua creatività e abilità manuale: «Ho costruito un sonaglio per la dentizione per mia figlia acquistando online il materiale per realizzarlo. Ne ho postato la foto su Facebook e poco dopo sono arrivate tante richieste da parte di mamme che ne avrebbero voluto uno uguale. Questo successo inaspettato ha fatto nascere l’idea di realizzare piccoli oggetti da offrire in cambio di donazioni per sostenere le terapie di Elisa».

Così è nata «DoppiaE», prima con una pagina su Facebook che ha preso il nome dalle iniziali delle due figlie maggiori di Lorena, Elisa ed Elena, poi un’associazione vera e propria. «Ho scoperto così di essere circondata da tante persone generose: se la gente può fare del bene è portata a farlo. Questo mi ha restituito fiducia nel mondo e nel futuro. Pian piano questa attività si è allargata. Con gli anni la necessità di terapie per Elisa è diventata meno gravosa, così ho avuto la possibilità di aiutare altre famiglie che devono fare i conti con una disabilità».

Il primo versamento di DoppiaE ha aiutato una bambina a seguire un percorso di ippoterapia: «Mi sono commossa moltissimo quel giorno, perché mi sono resa conto che finalmente avremmo avuto la possibilità di restituire la generosità che aveva sostenuto noi in momenti molto difficili». Lorena è riuscita a creare una rete che si muove e collabora innescando processi di aiuto reciproco, attingendo alle sue conoscenze e all’aiuto dei social network: «Lo faccio perché mi rende felice e mi fa stare bene».

Nella casa di Lorena l’atmosfera è luminosa: «Elisa ci ha offerto uno sguardo diverso sulla realtà, ci ha aperto una finestra sul mondo con la sua semplicità e la sua autenticità. Con lei ci sono voluti sei mesi di lavoro per farle mettere un calzino e quando ci è riuscita ho toccato il cielo con un dito. E lo stesso per togliersi una maglietta, aiutare il papà a cucinare una frittata, a leggere l’orario. In queste piccole cose per noi sta il senso della vita».

DoppiaE sta crescendo: «Possiamo contare sull’aiuto e sulla competenza di alcuni amici, come la commercialista, una vicina di casa, e un ragazzo che ci sta aiutando a creare un sito internet per l’associazione». Sono diversi i progetti in cantiere: sostenere per esempio attività di musicoterapia oppure idrokinesiterapia per bambini con tetraparesi spastica, «con uno specialista - osserva Lorena - che viene appositamente da Massa Carrara una volta al mese e esegue 14 famiglie». Fra le attività da finanziare anche un progetto di pet therapy per la scuola dell’infanzia della Tribulina di Scanzorosciate, che Elisa e gli altri figli di Lorena hanno frequentato.

Punto di riferimento

Tra i fratelli c’è un forte legame di empatia, affetto e solidarietà. «Elena - ricorda Lorena - che ha solo un anno in meno, è stata la prima terapista per Elisa, che la imitava e quindi imparava da lei, per esempio giocando alla cucina, cercando di vestirsi e svestirsi. Paola è un mix, ha la solarità di Elisa e la caparbietà di Elena. Giocano insieme, corrono, ascoltano musica. Giulio ha solo due anni quindi è ancora escluso dai loro giochi».

DoppiaE è diventata un punto di riferimento per famiglie che hanno bambini con una disabilità: «Mi fa piacere che sappiano di potersi rivolgere a noi. Di fronte a una diagnosi ci si sente molto soli, si prova un dolore indescrivibile e non è mai facile orientarsi e ottenere assistenza. Per questo mettiamo a disposizione la nostra esperienza e il nostro percorso, perché possano essere d’aiuto ad altri. Nessuno di noi è invincibile, a volte la scelta più intelligente è proprio chiedere aiuto. Condividere il dolore con lo rende più sopportabile. Lungo il cammino mi sono accorta che basta poco per uscire dal nostro ambiente, basta aprire la porta. Non costa così tanto e fa bene a tutti recuperare il senso di comunità e condivisione, che possono diventare sorgenti di felicità».

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