Il tumore al seno, la chirurgia, le cure. «Ora correrò la maratona di New York»

GIULIA CIRELLI. «Dopo l’intervento sostengo la ricerca e la prevenzione con le Pink Ambassador. E corro tanto».

«La pazienza è potere - dice Confucio -, con il tempo e la pazienza ogni foglia di gelso diventa seta». È la prima delle tante lezioni che Giulia Cirelli, 42 anni, ha dovuto imparare quando si è trovata ad affrontare un tumore al seno.

L’attesa delle visite, le code per i prelievi, il tempo dilatato della chemioterapia, le brutte giornate in compagnia degli effetti collaterali, gli interventi di ricostruzione per tornare ad avere un corpo «intero»: «Fin dall’inizio del percorso di cura - racconta - ho capito che dovevo avere molta pazienza. Ho imparato, è stata una conquista, così ho superato un periodo difficile e ho trovato tanta energia da donare agli altri».

Pazienza per accettare l’incertezza, la fragilità, i cambiamenti fisici: «Nonostante questo non mi sento una guerriera - continua -, ma una sopravvissuta». Col tempo questo atteggiamento ha portato i suoi frutti: Giulia dalle foglie di gelso, come nella frase di Confucio, ha ottenuto numerosi fili di seta, trasformando il dolore in un percorso di crescita e rinascita. «Ho fatto di tutto per vedere il lato positivo, perché da un periodo buio della mia vita potesse comunque germogliare qualcosa di bello, e sono felice di esserci riuscita». Le chiavi per aprire nuovi orizzonti sono state lo sport, l’impegno per aiutare gli altri e il sostegno alla ricerca.

Giulia infatti fa parte della delegazione di Bergamo della Fondazione Veronesi e del gruppo delle «Pink Ambassador», donne che fanno da «testimonial» per la prevenzione dei tumori femminili e per la promozione della ricerca. Si allenano insieme per correre una mezza maratona e promuovono iniziative per la raccolta fondi. Oltre a questo Giulia ha creato una pagina su Instagram «@lestournesols1981», «i girasoli», che ha oltre seimila followers ed è collegata con il suo e-shop di braccialetti e prodotti artigianali: anch’essa è nata per sostenere la ricerca.

Il 5 novembre prossimo realizzerà uno dei suoi grandi sogni: partecipare alla maratona di New York. «Sarà un’avventura incredibile - osserva -, ancora non so come farò, se fisicamente reggerò una prova così impegnativa. Mi accompagnerà tutta la famiglia: mio marito Carlo e i miei figli Giacomo, 18 anni e Pietro di 15». Non rimane mai sola, nemmeno nelle gare in cui si cimenta vicino casa, per mettersi alla prova: «Cerco sempre di farmi accompagnare da qualcuno - sorride Giulia - , perché per me ogni volta è un’impresa. Quando arrivo al traguardo sono sempre sorpresa e commossa per la gioia di avercela fatta. Non sento di competere con gli altri atleti ma solo con me stessa; migliorare il tempo di pochi secondi è già un grande traguardo. Ho iniziato questo percorso da neofita, prima non correvo. Ho scoperto che è molto faticoso, anche per chi si allena da anni, però mi fa stare bene, mi aiuta a sgombrare la mente dai pensieri». Con il vento fra i capelli e il cuore leggero il mondo sembra subito più bello.

«Feci controllare un nodulo per prudenza, ma l’esito mi costrinse alla mastectomia»

Giulia lavora nello studio professionale di famiglia, che si occupa di amministrazione di condomini e vive nel quartiere di Santa Lucia. La malattia si è presentata come ospite indesiderata quando aveva 36 anni, nel 2017: «Ho sentito un piccolo nodulo nel seno ma non era la prima volta che accadeva, non ci avevo fatto troppo caso. Poi, però, sui social mi sono imbattuta in un post del giornalista Alessandro Milan, che parlava della morte per tumore al seno della moglie Francesca Del Rosso, conosciuta anche come Wondy. La loro vicenda mi ha coinvolto moltissimo, inducendomi a far valutare meglio quel nodulo».

Così Giulia ha prenotato un’ecografia «per scrupolo». L’esito, però, non è stato quello che si aspettava: «Il medico mi ha detto subito di aggiungere anche la mammografia e di rivolgermi al più presto a un senologo». Da quel momento in poi Giulia ha avuto l’impressione che il tempo scorresse più velocemente: «Nel giro di due giorni ero all’ospedale Papa Giovanni XXIII per proseguire gli accertamenti».

Mammografia, visita, ago aspirato e diagnosi. «Mi ha convocato il primario, Privato Fenaroli - spiega -. Mi ha mostrato uno schema con il disegno del tumore e mi ha illustrato i possibili sviluppi, spiegandomi le possibilità terapeutiche. Alla fine ho deciso di sottopormi alla mastectomia bilaterale».

Grazie alla ricerca oggi oltre il 90% dei tumori può essere curato o cronicizzato

Quando poi è arrivato il risultato dell’esame istologico Giulia ha scoperto di doversi sottoporre alla chemioterapia: «È stato forse il momento più difficile. L’idea della terapia, di dover perdere i capelli mi spaventava. Mi sono comprata una parrucca ma l’ho usata raramente, mi è servito coraggio ma alla fine ho preferito mostrarmi così com’ero. L’impatto delle terapie è stato forte e a un certo punto mi sono resa conto che avrei impiegato un po’ di tempo a recuperare le forze per tornare come prima, anche in questo ho dovuto avere pazienza».

Il problema più delicato per Giulia è stato comunicare ciò che stava succedendo alle persone care a lei più vicine, come marito e figli, ma anche ai genitori, alle sorelle e agli amici. «Non ho mai nascosto nulla, non mi sembrava giusto, ma mi è pesato parlarne, è stata una delle cose più difficili, perché ogni volta vedevo lo smarrimento negli occhi degli altri. Ho preferito dire la verità anche ai miei figli, che fortunatamente hanno reagito bene».

C’è stata qualche complicazione, soprattutto nella fase di ricostruzione del seno con la chirurgia plastica, ma Giulia le ha affrontate senza perdersi d’animo. «Ho dovuto subire diversi interventi, a causa di ripetute infezioni e reazioni allergiche. Alla fine ho fatto amicizia con il personale del reparto, dopo tanto tempo ormai ero quasi di famiglia. A un certo punto mi sono fatta tatuare sul polso destro un braccialetto con sette ciondoli, uno per ogni intervento, ognuno con un significato specifico».

Non servono, infatti, soltanto a ricordare le date e i fatti. «Affrontare questo percorso mi ha aiutato a cambiare prospettiva sulla vita. Ho cambiato atteggiamento e stile, ho imparato ad apprezzare la bellezza di ogni momento, ad arrabbiarmi di meno. Ho deciso di concentrarmi sulla positività, fare cose belle come camminate e viaggi, di circondarmi di persone che apprezzo e stimo, cerco di evitare discussioni inutili anche in famiglia. Capita a volte di smarrire per un breve momento questa consapevolezza, e allora il tatuaggio me la riporta alla mente».

Fin dall’inizio ha trovato in sé una capacità di reazione che non sospettava di avere: «Nella prima estate dopo l’intervento dopo l’ultima “chemio rossa” ho fatto le valigie e ho raggiunto la mia famiglia in Sardegna per due settimane di vacanze. Non volevamo permettere alla malattia di scombinarci i piani. È stato un periodo duro ma abbiamo reagito bene e l’abbiamo superato».

È iniziata la routine dei controlli, che pian piano sono diventati meno frequenti. «Ogni pezzo della terapia - osserva Giulia - mi ha insegnato qualcosa».

A un certo punto ha pensato di mettere la sua creatività e le sue abilità manuali a servizio della ricerca contro il cancro, per aiutare altre persone: «Ho perso mia cugina a causa di un tumore al cervello. Era giovanissima, sposata da poco, e nel suo destino ho letto una grande ingiustizia, che mi ha spinto ad agire, a inventare qualcosa per ricordarla. Poco dopo la sua morte ho deciso di realizzare dei braccialetti. Ho creato la pagina Instagram e le ho dato quel nome, “les tournesols”, proprio come omaggio a lei, perché i girasoli erano i suoi fiori preferiti. All’inizio ho realizzato braccialetti per le amiche come portafortuna, poi mi è venuta l’idea di usarli per raccogliere fondi per la ricerca, la strada più importante per trovare cure efficaci e combattere il cancro. Ho scoperto l’attività della Fondazione Veronesi leggendo l’intervista a una Pink Ambassador milanese che si stava allenando per la maratona di New York. Stavo ancora facendo le chemio e quella testimonianza mi ha dato speranza e ispirazione, mostrandomi che è possibile venirne fuori e stare di nuovo bene. Ho pensato che se lei poteva cimentarsi in un’impresa così allora forse anch’io un giorno avrei potuto seguire le sue orme. Così è nato il mio sogno di andare a New York. E il primo passo per realizzarlo è stato mettersi in contatto con la Fondazione. È stato davvero bello ricevere risposta con un messaggio gentile e sensibile, l’invito a creare la mia prima campagna di sensibilizzazione: è nato un rapporto prezioso e vitale».

Non c’era ancora il gruppo delle Pink Ambassador a Bergamo quando Giulia ha iniziato: «Ci siamo dati molto da fare per crearlo, generando un passaparola tra parenti, amici, conoscenti e collaboratori». Creare legami con altre donne che avevano vissuto lo stesso percorso è stato fondamentale: «Ci capiamo senza parole, senza dover per forza parlare di interventi e terapie, e siamo sempre presenti e disponibili a offrirci sostegno e ascolto a vicenda. Viviamo con più leggerezza i controlli e gli effetti collaterali delle terapie, perché affrontare le difficoltà insieme stempera la paura».

Giulia si allena per tre volte alla settimana per prepararsi alla maratona e pensa al futuro: «Grazie alla ricerca oggi oltre il 90% dei tumori può essere curato, anche i peggiori si possono “cronicizzare”. Non ne avevo capito l’importanza prima di ammalarmi, vent’anni fa l’evoluzione sarebbe stata del tutto diversa anche per me, le terapie hanno fatto passi da gigante. Per questo portiamo avanti con passione il nostro impegno: ogni anno con la sezione di Bergamo riusciamo a sostenere una borsa per un anno di ricerca, quest’anno ci piacerebbe finanziarne due. Ho tante idee e progetti per il futuro e spero di poterli realizzare. Non voglio buttare via tempo e occasioni, non do più niente per scontato. Quando penso al futuro lo faccio seguendo i consigli del mio allenatore: guardo il cammino che ho già fatto, e tutto diventa più semplice».

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