Immagini con supplemento d’anima per non arrendersi di fronte al dolore

Alessandro Bassan Da un anno affronta con coraggio le conseguenze di un ictus: ha ricominciato a fare il fotografo.

«Fare una fotografia - secondo Henri Cartier-Bresson, pioniere del fotogiornalismo - vuol dire allineare la testa, l’occhio e il cuore. È un modo di vivere». «Pazienza - aggiunge Alessandro Bassan, 50 anni - se bisogna farlo con un braccio solo». Da un anno Alessandro, che vive ad Arcene ma ha uno studio a Bergamo, in via Pignolo, affronta con grande coraggio le conseguenze di un ictus. La sua è una testimonianza forte: «Mai mollare - sorride -. Il mio lavoro è la passione che mi tiene vivo».

«Fare una fotografia - secondo Henri Cartier-Bresson, pioniere del fotogiornalismo - vuol dire allineare la testa, l’occhio e il cuore. È un modo di vivere».

In uno dei suoi scatti, particolarmente suggestivo, in bianco e nero, si vede Città Alta, fotografata dal colle di San Vigilio, ancora immersa nella nebbia del mattino. La bellezza del borgo antico emerge dalle nuvole con mille sfumature. Ci vogliono spirito d’osservazione e pazienza per coglierle tutte. Stare lì, aspettare, osservare, come ha fatto Alessandro cercando l’atmosfera giusta. Quel paesaggio sembra quasi una metafora della sua vita: una grande perseveranza, la capacità di sopportare il dolore, per conquistare uno slancio di serenità e di rinascita dopo un anno di grandi tempeste. È una foto con un supplemento d’anima.

Un intervento rischioso

L’ictus è stato un evento improvviso, senza segni premonitori, che ha dato ad Alessandro un segno forte della fragilità della vita. Ricorda quel giorno nei dettagli, come se lo rivedesse ora al rallentatore: «Erano le 19,57 di un mercoledì sera, il 14 luglio del 2021. Per un colpo di fortuna ero già a casa. Mezz’ora prima ero nel mio studio, da solo, se mi fosse successo in quel momento, oppure durante il viaggio di rientro in auto forse ora non ci sarei più. Ho iniziato a sentire un fortissimo bruciore nella parte destra della testa, mia moglie ha visto che avevo lo sguardo fisso, mi si è stortata la bocca, il braccio sinistro ha ceduto, andando giù di colpo. Farfugliavo qualcosa con la bocca impastata, poi mi sono accasciato».

Mentre nel suo corpo i movimenti rallentavano, gli impulsi si spegnevano, sua moglie Iris, in pochi attimi, ha attivato la catena concitata dei soccorsi: «L’ambulanza è arrivata nel giro di pochi minuti. Mi hanno portato al Policlinico San Marco che fortunatamente ha una stroke unit dedicata all’ictus. Mi hanno sottoposto a una trombolisi che deve essere eseguita entro quattro ore dall’evento. Era un intervento rischioso, poteva scatenare un’emorragia. Non avevano garantito a mia moglie la mia sopravvivenza fino al mattino dopo. Da parte mia mi sentivo abbastanza lucido da chiedere di fare tutto il necessario per salvarmi la vita. Poi non mi ricordo niente, sono sprofondato nell’incoscienza. Quando mi sono svegliato, il giorno dopo, mi sono accorto subito che la parte sinistra del mio corpo era paralizzata».

Una consapevolezza forte, devastante: «Mi sono chiesto che cosa ne avrei fatto da lì in poi della mia vita. Ho pensato subito al mio studio, ai miei clienti, ai lavori che avevo in sospeso». Ha dovuto fare i conti, concretamente, con un senso di impotenza molto concreto, la paura, un senso di incertezza: «Ho dovuto sospendere e rimandare tutto. All’inizio, lo confesso, sono caduto in uno stato di depressione e di angoscia. Ero tormentato dall’idea di non poter essere più autonomo e di dover stare chiuso in una stanza d’ospedale. Penso che sia comprensibile. Ma è stata solo una breve parentesi. Mi sono detto che non potevo arrendermi e rinunciare così, e ce l’ho messa tutta per reagire. Ho continuato a pensare che non dovevo arrendermi, che non potevo mollare e darla vinta a questo mostro. Non ho mai abbandonato la convinzione che nonostante tutte le difficoltà sarei tornato a fare il mio lavoro di fotografo, che è la passione della mia vita. Ho sempre avuto mia moglie Iris accanto, pronta a sostenermi e incoraggiarmi, e questo ha fatto la differenza. Le devo moltissimo».

Inesorabile lentezza

All’inizio i giorni trascorrevano con inesorabile lentezza, senza che Alessandro e Iris potessero apprezzare qualche cambiamento. Hanno coltivato insieme la speranza, con tenacia e determinazione. Poi però è arrivata la svolta tanto attesa: «Ci è voluto un mese, poi ho notato che riuscivo a compiere dei piccoli movimenti con la gamba sinistra. Il braccio e la mano purtroppo erano molto meno reattivi. A quel punto i fisioterapisti hanno iniziato a lavorare per rimettermi in piedi. All’inizio è stata una sfida molto impegnativa per il mio fisico, il ritmo cardiaco cresceva all’impazzata anche con un piccolo sforzo, perciò i medici hanno dovuto rallentare il ritmo degli esercizi per darmi il tempo di recuperare le forze».

Qualche settimana prima dell’ictus Alessandro aveva subito un intervento al cuore: «Sono stato sottoposto a un’angioplastica, mi hanno inserito due stent. Un’operazione impegnativa e debilitante. Non sappiamo se anche questo abbia avuto un peso in ciò che mi è successo dopo». Ci sono voluti tre mesi prima che Alessandro potesse essere dimesso dall’ospedale: «Sono stati lunghissimi, perché le visite erano limitate dalle normative per il covid, perciò per tutto questo periodo non ho potuto rivedere mia figlia Sara, che ha 16 anni, anche se parlavamo ogni giorno al telefono. Sono profondamente grato ai medici che mi hanno salvato la vita e rimesso in piedi».

Poi Alessandro ha proseguito le terapie all’istituto di neuroriabilitazione Habilita di Zingonia: «Il ritmo delle sedute era intenso, ci andavo tre volte alla settimana. Ho fatto progressi notevoli nei movimenti grazie all’uso di particolari tecnologie. Mi facevano indossare un esoscheletro robotico per aiutarmi a ritrovare il ritmo e la posizione corretta del passo, favorendo così il recupero della mobilità e delle funzioni muscolari. Poi mi hanno prescritto una ortesi per la gamba sinistra - una specie di tutore - e grazie ad essa gradualmente ho ricominciato a camminare autonomamente».

Nello scorso mese di marzo Alessandro è finalmente tornato nel suo studio: «Poter riaprire quella porta e sedermi alla scrivania ha suscitato in me una grandissima emozione. Faccio il fotografo professionista dal 2015, prima lavoravo in una litografia. È stata una scelta matura e consapevole, l’inizio di una seconda vita, in cui ho deciso di credere in me stesso e dare spazio a ciò che amavo davvero fare. Così riprendendo dopo l’ictus ho sentito di avere una seconda possibilità e di doverla sfruttare fino in fondo. Ogni volta che tornavo in via Pignolo il mio umore migliorava in modo significativo, con riflessi importanti anche sulla mia salute. Ogni giorno era un passo in più sulla strada della rinascita».

«Mi occupo personalmente dei ritratti, a cui posso dedicare calma e attenzione, scattando le foto all’interno del mio studio. All’inizio è stata dura. Mi sono detto che potevo stringere i denti e trovare un modo per proseguire, e il tempo mi ha dato ragione»

Via Pignolo, nel centro di Bergamo, conserva lo spirito e il calore di un antico borgo, dove tutti si conoscono: «I miei vicini - racconta Alessandro - sono come una seconda famiglia, persone che mi sono state e mi sono molto vicine, sempre pronte ad aiutarmi quando ho bisogno di qualcosa. Intanto i clienti sono tornati, ho iniziato a collaborare con due fotografi che conosco bene per poter garantire i servizi più impegnativi, come i matrimoni, di cui io continuo a curare la post-produzione. Mi occupo personalmente dei ritratti, a cui posso dedicare calma e attenzione, scattando le foto all’interno del mio studio. All’inizio è stata dura. Mi sono detto che potevo stringere i denti e trovare un modo per proseguire, e il tempo mi ha dato ragione».

L’estate 2022 è trascorsa con tante conquiste e nuove «prime volte»: «Sono appassionato di montagna e sono tornato in vacanza in Trentino, in Val di Ledro. Mi è sembrato tutto ancora più bello». Alessandro dopo un anno di assenza è riuscito anche a tornare in Città Alta, un luogo che lo affascina e ispira il suo lavoro: «Spero di poter un giorno salire di nuovo a piedi, partendo da via Pignolo. Pian piano sono sicuro che ce la farò».

Recuperare l’autonomia

La prossima sfida sarà ricominciare a guidare: «Per ora dipendo ancora completamente da mia moglie per gli spostamenti. È lei che ogni mattina mi accompagna allo studio prima di andare a lavorare e poi passa a riprendermi. Spero di poter presto recuperare l’autonomia usando un’auto con il cambio automatico e gli ausili che la commissione medica riterrà opportuni».

Alessandro ha sperimentato in modo concreto e profondo cosa significhi essere vulnerabili e questo ha cambiato il suo sguardo sul mondo: «Sono diventato più sensibile, mi accorgo di dettagli che prima non notavo, sono più attento alle esigenze delle persone più fragili. Comprendo meglio e abbraccio le battaglie per eliminare le barriere architettoniche. Mi sembra che la malattia con tutto il suo carico di sofferenza abbia avuto in fondo qualche risvolto positivo, migliorando diversi aspetti del mio carattere. In passato ero molto più nervoso, mi arrabbiavo facilmente, ora sono più calmo e riflessivo, cerco di stare tranquillo anche in situazioni difficili e sono più disponibile nei confronti degli altri».

Se prima viveva proiettato verso il futuro, ora ha deciso di dare più peso al presente: «Sulla soglia dei 50 anni ho dovuto affrontare una tempesta enorme e inaspettata. Ora cerco di godermi ogni momento, di dare il giusto valore alle persone che ho vicino, di esprimere apertamente i sentimenti che provo per loro. Continuo ad apprezzare ogni miglioramento nelle mie condizioni fisiche. Ho sperimentato in quest’ultimo anno cosa significhi tenere duro e non arrendersi: è una condizione che stimola la creatività. Se davvero hai un sogno, un traguardo da raggiungere c’è sempre un modo per realizzarlo, anche se bisogna lottare, cercare nuovi modi e strumenti diversi per reinventarsi. Ogni giorno porta una nuova sfida e non si molla mai. Anche nella vita, come nelle mie fotografie, la luce cambia tutto».

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