In barcone dal Senegal, le scelte sbagliate, poi una seconda opportunità e il riscatto

LA STORIA. La storia di Kaba Diassigui: dal viaggio odissea alla disperazione. L’incontro con la cooperativa Sogno e il coraggio di rinascere.

«Il modo migliore per scoprire se ci si può fidare di qualcuno - scrive Ernest Hemingway - è dargli fiducia». Aprire un «credito» nei confronti di una persona, accoglierla così com’è, con le sue fragilità, superando i pregiudizi, è tutt’altro che semplice, comporta dei rischi, ma può innescare processi di rinascita sorprendenti. Com’è accaduto nell’incontro tra Kaba Diassigui, 38 anni, originario del Senegal, in Italia dal 2012, e la cooperativa Sogno di Sforzatica. «Ci siamo fidati di lui - sottolinea don Claudio Forlani, fondatore e presidente della cooperativa - e lui di noi». Così dopo essere precipitato in una spirale di scelte sbagliate, dopo la solitudine, la disperazione e il carcere, Kaba alla fine ha ottenuto una seconda possibilità e una nuova vita, con la consapevolezza che «alla base di tutto - come dice lui stesso con umiltà - c’è il rispetto per gli altri».

Dall’Africa a Milano

Kaba in Senegal faceva l’aiuto muratore: «Quando avevo 25 anni ho inseguito il desiderio di trovare una vita migliore all’estero, come molti altri miei giovani connazionali. Mi sono trasferito in Libia, dove però ho trovato una situazione molto più difficile di quanto mi aspettassi. Non c’è libertà di movimento per gli stranieri, soprattutto se non hanno i documenti in regola. Ho dovuto affrontare situazioni molto difficili, violenze, torture. Sono rimasto lì per due anni, cercando un modo per salire su un barcone e trasferirmi in Italia».

Alla fine ce l’ha fatta, per ritrovarsi a un nuovo «punto morto»: «Sono stato fortunato, la nostra imbarcazione non è affondata, anche se era carica di persone in modo inverosimile. Siamo arrivati sani e salvi a Lampedusa, dopo qualche giorno ci hanno portato in Sicilia, a Catania, in un campo profughi. Ci sono rimasto per due anni, ed è stato un periodo di sospensione e di attesa, in cui non sapevamo che piega avrebbe preso la nostra vita. Ci hanno proposto dei corsi di italiano, ma in quel clima di incertezza era difficile applicarsi e studiare».

È arrivato il momento di affrontare la commissione che doveva valutare il rilascio dei documenti di soggiorno, ma la prima richiesta non è andata a buon fine. «In seguito, però, hanno rivalutato il mio caso e mi hanno rilasciato il permesso per motivi umanitari». Kaba, come molti altri ospiti del centro di accoglienza, è andato a lavorare nelle campagne, impegnato in particolare nella raccolta di frutta e verdura. «Sono stato prima in Calabria, a Rossano, poi a Napoli e a Foggia. Nel 2015 mi sono reso conto che in quel settore c’era più fatica che guadagno, e non c’erano opportunità per migliorare. Ho provato a trasferirmi in Svizzera, e ci sono rimasto per sei mesi. Non è andata bene, non ho trovato lavoro, mi hanno rimandato in Italia».

Brutti giri e carcere

Kaba questa volta si è fermato a Milano: «È una grande città, è difficile orientarsi, soprattutto per chi non ha già dei punti di riferimento. Per un anno ho dormito per strada e nelle case abbandonate. Ho conosciuto il volto più oscuro della città. Sono finito in un brutto giro, ho avuto problemi di droga, la usavo e poi ho iniziato anche a venderla. Per questo nel 2017 sono stato arrestato e mi hanno condannato a tre anni e otto mesi di carcere. A quel punto mi sono reso conto dei miei errori e mi sono vergognato di me stesso. Ho capito di essere finito sulla strada sbagliata, che non corrisponde a ciò che sono, ai miei principi e al modo in cui sono cresciuto. Ho scontato la pena per i primi sei mesi a Roma, poi a Perugia per un anno e sei mesi, poi in Sardegna e negli ultimi mesi a Lallio, a casa di mio fratello, agli arresti domiciliari. Non ero felice di tornare dalla mia famiglia in quella situazione, ma sono il fratello maggiore, perciò nessuno mi ha detto nulla». A quel punto Kaba ha chiesto di poter tornare a scuola: «In carcere ho avuto tanto tempo per riflettere su me stesso, sulle mie azioni, sulle possibili strade di riscatto, perché sognavo una vita diversa».

Attraverso l’Uepe, Ufficio esecuzioni penali esterne, che ha il compito di favorire il reinserimento sociale dei detenuti, ha incontrato la cooperativa «Sogno» di Dalmine, una realtà che offre possibilità di occupazione a persone in difficoltà, svolgendo attività molto varie, dalla cucina all’orticoltura e ai traslochi, con sedi nelle parrocchie di Sforzatica Santa Maria, Sforzatica Sant’Andrea e Predore.

«Ha iniziato a frequentarci come volontario - spiega Licia Fedrighini, vicepresidente e coordinatrice della cooperativa - da lunedì a venerdì per tre ore ogni mattina, secondo quanto avevamo concordato con gli assistenti sociali che lo seguivano». Era impegnato in attività di assemblaggio e imballaggio, poi nel tempo ha sperimentato quasi tutte le mansioni previste dalla cooperativa.

Onestà e sincerità

«Kaba mi ha colpito subito in modo positivo - prosegue Licia - perché è stato molto onesto e sincero, ha ammesso di aver compiuto crimini di cui ora era pentito. Noi chiediamo a tutti chiarezza e trasparenza ma capita che alcuni si presentino come bravi ragazzi, salvo poi continuare a delinquere. Quando ci accorgiamo di queste situazioni le segnaliamo alle autorità e la collaborazione si interrompe. Molti faticano ad adattarsi alla vita della cooperativa, in cui si trovano fianco a fianco soggetti con diverse caratteristiche e fragilità, non tutte facili da trattare. Ci sono persone con disabilità, con problemi psichiatrici, anziani. C’è chi non sa come comportarsi e preferisce compiti esterni e individuali, come il giardinaggio. Kaba invece si è ambientato bene, ha dimostrato rispetto per tutti, ha cercato di portare pace anche fra individui problematici e astiosi, si è reso disponibile fin dall’inizio ad aiutarci spingendosi oltre l’impegno previsto».

«Mi sono trovato subito a mio agio - sottolinea Kaba - in un ambiente molto lontano dal carcere e dalle brutte situazioni che ho vissuto in passato. Ho seguito anche un corso di italiano ottenendo la certificazione A2 e l’anno scorso ho superato gli esami di terza media. Finalmente ho potuto terminare di scontare la pena e lasciarmi quel periodo così buio alle spalle».

Nonostante avesse assolto i suoi obblighi con la giustizia, Kaba ha espresso il desiderio di restare come volontario nella cooperativa: «Intanto cercava lavoro - prosegue Licia - e abbiamo deciso di aiutarlo accogliendolo in mensa per il pranzo e offrendogli alcuni beni di prima necessità». Ha avviato una collaborazione con un’azienda di posta privata, ottenendo però solo contratti precari: «Purtroppo - sottolinea - non bastava per rinnovare il permesso di soggiorno. Così la cooperativa mi ha aiutato, offrendomi un contratto a tempo indeterminato e perfino un alloggio. Adesso la mia vita è cambiata in meglio».

Una chance meritata

A permettergli questo buon esito sono stati l’impegno e la correttezza che ha dimostrato: «Si è meritato questa seconda possibilità - sottolinea Licia -. Adesso ci auguriamo di poterlo accompagnare nella conquista di una posizione più autonoma, che gli permetta di formarsi una famiglia, secondo i suoi desideri. Negli anni, dal 2016, quando è nata la cooperativa, abbiamo accolto tanti stranieri arrivati attraverso il circuito di accoglienza dei rifugiati e non abbiamo mai lasciato sole le persone meritevoli. Si trattava spesso di progetti temporanei, il sostegno dello Stato a un certo punto finiva, e anche in quei casi ci è sembrato importante continuare a sostenere chi aveva iniziato un percorso e dimostrava, come Kaba, impegno, correttezza e buona volontà».

Anche don Claudio Forlani conferma la valutazione di Licia: «Kaba è stato sempre umile, si è posto verso di noi e verso gli altri in modo delicato, non ha mai avanzato pretese, ha soddisfatto le nostre richieste. Alla base di ciò che facciamo c’è la gratuità, lui l’ha capito e ha adottato lo stesso stile».

Legami di fiducia

Ospitato per un certo periodo in un monolocale «d’emergenza» gestito dalla cooperativa, ora si è spostato in un appartamento più grande a Mariano sempre gestito da «Sogno», che condivide con un altro dipendente. Lavora a tempo pieno, per otto ore al giorno, si sposta in bicicletta, sta studiando per ottenere la patente: «Qualcuno dei miei sogni si è realizzato - commenta con un sorriso timido -. Ho passato periodi duri che mi hanno insegnato alcune lezioni importanti. La prima è la necessità di rispettare i miei simili. La seconda è che un essere umano da solo non è niente. Per poter vivere e andare avanti ci vuole l’aiuto degli altri. Quando sono arrivato nella cooperativa “Sogno”, infatti, sono stato molto aiutato. Qui ho incontrato tante persone fragili, che a loro volta hanno bisogno di essere sostenute, e questo mi ha convinto a restare per poter dare una mano e restituire il bene che ho ricevuto. Credo sia davvero importante stare accanto alle persone nel momento in cui ne hanno necessità, come ho sperimentato io stesso».

La fiducia, insomma, mette in circolo energie positive: «Tanti giovani coinvolti dalla cooperativa - conclude don Claudio - si rendono disponibili per continuare ad affiancarci, ognuno con ciò che può e che è in grado di fare, perché si trovano bene, si sentono accolti e non giudicati. Cerchiamo di offrire una possibilità a tutti, creando legami di fiducia che ci viene spesso restituita con un grande slancio di gratitudine. Questo ci mostra che stiamo andando nella direzione giusta. Ci guida in questo cammino il sogno che ci anima fin dall’inizio: riuscire a immaginare un futuro e un mondo migliore, e lavorare insieme per realizzarlo».

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