La mia vita a colori è più forte di tutto, anche del male che mi fa tremare le mani

Tarcisio Bettoni. Esempio di straordinaria resistenza alla malattia di Parkinson, lunedì 22 agosto compie 84 anni.

Tarcisio Bettoni si alza ogni giorno alle 5 del mattino per recarsi nel suo studio di Mozzo, dove prepara la tavolozza con i suoi colori a olio, mette una tela sul cavalletto e dipinge. Le sue giornate trascorrono così, sempre uguali ma sempre diverse. Compie 84 anni - molto ben portati - domani, 22 agosto, e la sua è una straordinaria strategia di resistenza alla malattia di Parkinson, con cui convive ormai da molti anni.

«Mi immergo nel mio mondo - racconta con un sorriso - e mi dimentico di tutto il resto. A volte continuo a lavorare anche per tredici ore consecutive. La mia è proprio una grande passione».

La voglia di vivere vibra anche nei colori che sceglie per i suoi paesaggi: il calore del giallo, lo scintillio dell’oro, la vivacità del rosso, sfumature armoniose di azzurro e di verde. Riesce a creare atmosfere intrise di gioia, quiete e dolcezza.

«Dopo la diagnosi della malattia - continua Tarcisio -, una quindicina d’anni fa, proprio poco dopo la pensione, ho cercato più informazioni e ho scoperto che a Bergamo esiste una sezione molto attiva dell’Associazione italiana Parkinsoniani (Aip), con sede in via Gleno, che organizza iniziative a sostegno dei malati, e mi sono subito messo in contatto con loro».

«Bettoni è un artista parkinsoniano, ha il grande merito di aver parlato apertamente della sua condizione, senza paura di affrontare giudizi degli altri. Anche per questo lo sosteniamo: per noi la sua espressione artistica è una testimonianza di coraggio e di grinta»

Il ruolo di Aip

L’Aip lo ha accolto a braccia aperte, come commenta il presidente della sezione locale Marco Guido Salvi: «Bettoni è un artista parkinsoniano, ha il grande merito di aver parlato apertamente della sua condizione, senza paura di affrontare giudizi degli altri. Anche per questo lo sosteniamo: per noi la sua espressione artistica è una testimonianza di coraggio e di grinta».

L’associazione lo ha affiancato nell’organizzazione di una mostra che si è svolta nello scorso autunno in centro città, nella Sala Manzù della Provincia, in cui ha esposto le sue opere più recenti: «La sua malattia - scrive Oscar Castellini, critico d’arte - non l’ha fermato, non l’ha arrestato, non l’ha distolto dalla sua passione, dal manifestare il suo rapporto con il paesaggio. Il tremore non ha invalidato la mano che disegna e miscela i colori, il conseguente disagio non ha inibito la sua voglia di socialità».

Quando si sono manifestati i primi sintomi è stato lo stesso Tarcisio a riconoscerli, come spiega la moglie Maria Carla Castellazzi: «Si è subito accorto che c’era qualcosa che non andava, perché non riusciva a mantenere la sua solita precisione del tratto. Prima del Parkinson realizzava anche numerose figure. Quando è comparso il tremore della mano era veramente abbattuto, temeva che non avrebbe più potuto dipingere. Ha comunque sempre accettato la sua malattia senza farne tragedie. Ha affrontato con determinazione le visite alla Casa di cura San Francesco e ha iniziato le terapie con fiducia. Quando il tremore alla mano è gradualmente migliorato grazie ai farmaci, fino quasi a scomparire, per lui è stato come rinascere, perché gli è stato possibile dedicarsi di nuovo alla pittura. All’inizio neanche gli specialisti che lo seguono si sentivano di promettere che avrebbe ottenuto questo risultato, nonostante il massimo impegno».

In qualunque percorso terapeutico alla fine conta anche il «fattore umano». «Ero spaventata all’inizio - dice Maria Carla - temevo che quei tremori potessero peggiorare. Sono i sintomi più invalidanti perché impediscono di svolgere anche le più semplici attività quotidiane. I medici mi hanno spiegato poi che per lui è stata una fortuna non aver mai avuto gravi patologie, anche per questo, probabilmente, è risultato più sensibile all’azione dei medicinali. Ci sono brutte giornate, ovviamente, in cui muoversi gli costa maggiore fatica, ma ci impegniamo sempre a resistere in modo positivo, senza perdere il sorriso». Anche i figli Marco e Paolo - ormai grandi e a loro volta sposati - sono stati coinvolti fin dall’inizio: «Sono sempre stati vicini al padre - sottolinea Maria Carla - aiutandolo a non drammatizzare e ad alleggerire il suo disagio».

Tarcisio - che fra l’altro è già bisnonno - ha fatto affidamento anche sull’affetto dei suoi nipoti. Fra loro anche Davide Bettoni, giovanissimo membro della Federazione campanari bergamaschi, che segue in tutti i suoi concerti.

La pittura

Tarcisio ha dimostrato una particolare inclinazione per il disegno fin dai tempi della scuola: «All’Istituto per geometri - ricorda - il disegno era una materia importante. A volte i miei rilievi venivano affissi al muro come esempio, perché c’era “qualcosa in più” anche se erano disegni tecnici. Ho sempre potuto contare sull’incoraggiamento di Santina, mia sorella maggiore, suora canossiana, diplomata in pittura all’Accademia di belle arti prima di scegliere la vita religiosa. Mi ha fatto a lungo da maestra, andavo a trovarla in convento per mostrarle i miei lavori e ricevere da lei critiche e consigli. È stata lei a insegnarmi le basi e i segreti della pittura a olio e ad acquerello. Ora purtroppo non c’è più, ma conservo con grande affetto alcune sue opere. Dopo questo apprendistato ho iniziato a frequentare i concorsi di pittura, ottenendo anche molte soddisfazioni, poi ho lasciato perdere, perché preferivo essere libero di scegliere i soggetti senza essere influenzato dai gusti delle giurie. Mi ricordo che la mia prima mostra personale si è svolta nel Centro culturale “Il Capricorno” in via Pignolo Alta, in città, nel 1978 quando avevo quarant’anni. Prepararla è stata una grande emozione». Ne sono seguite molte altre, a cadenza regolare, accolte fin dall’inizio con vivo interesse e apprezzamento da parte del pubblico bergamasco.

Originario di Vigolo, antico borgo che sorge in collina a ridosso del lago d’Iseo, Tarcisio ha sempre fatto della natura la sua principale fonte d’ispirazione, assimilando in pieno la lezione degli impressionisti ed elaborando a partire da essa un proprio stile di figurazione, molto suggestivo e pieno di vitalità.

«Da quando ho scoperto di avere la malattia di Parkinson - osserva - ho messo da parte i ritratti e mi sono concentrato di più su paesaggi, nature morte, soggetti floreali. Più che alla precisione e alla definizione del tratto - che non posso più ottenere - mi sono dedicato agli accostamenti cromatici, sviluppando ancor più che in passato uno stile che compone le figure attraverso macchie di colore, con particolare cura per le sfumature, e si offre alla libera interpretazione dell’osservatore. L’associazione Aip mi ha dato un notevole slancio e ho continuato a ottenere soddisfazioni per le mie opere artistiche. Mi sono particolarmente cari i quadri realizzati negli ultimi anni, perché a mio parere sono i più belli».

«Durante i lockdown non potevo andare in studio e in casa usavo soprattutto gli acquerelli, con i colori a olio sarebbe stato troppo laborioso». Il richiamo dell’arte però non si è affievolito: «Ogni volta che le norme anti-Covid lo permettevano - aggiunge Maria Carla - tornava subito lì»

Tarcisio, che da tempo vive in città, in piazza Varsavia, si è dedicato alla pittura a tempo pieno solo dopo la pensione, proprio in concomitanza con l’insorgere della malattia, ma per tutta la vita l’ha praticata con la serietà e l’impegno di un lavoro.

La pandemia gli ha imposto di superare parecchi ostacoli: «Durante i lockdown non potevo andare in studio e in casa usavo soprattutto gli acquerelli, con i colori a olio sarebbe stato troppo laborioso». Il richiamo dell’arte però non si è affievolito: «Ogni volta che le norme anti-Covid lo permettevano - aggiunge Maria Carla - tornava subito lì».

Anche l’organizzazione della mostra, in queste condizioni, ha subito diversi inciampi: «Abbiamo dovuto rimandarla per tre o quattro volte - osserva Tarcisio - a un certo punto mi sono chiesto se fosse diventato ormai un progetto impossibile. In questo periodo ho dovuto anche affrontare le conseguenze di un infarto, arrivato nel 2021 proprio mentre mi trovavo nello studio. Fortunatamente sono riuscito a chiamare i soccorsi e perfino a gettare ai paramedici le chiavi dalla finestra per poter entrare. Non mi ricordo chiaramente che cosa è successo, credo che anche in quell’occasione sia stata la voglia di vivere a salvarmi».

«L’arte - scrive Pablo Picasso - spazza la nostra anima dalla polvere della quotidianità». Per Tarcisio è diventata un modo per ricercare ed esprimere la bellezza della vita a partire da elementi umili come i fiori, le foglie, gli alberi, le geometrie variabili dei profili delle case. I suoi dipinti toccano spesso profonde corde emotive, come mostrano i commenti che i visitatori delle mostre lasciano nei «libri delle firme»

Neanche dopo questo episodio, comunque, si è perso d’animo: «Mi sono appassionato anche alla coltivazione dell’orto, ma mia moglie mi tiene d’occhio e mi impedisce di affaticarmi troppo. È un’attività che richiede energie, forse non troppo adatta a una persona con la malattia di Parkinson. Fatico un po’ a rispettare i limiti e la sera poi a volte mi sento stanco. Anche il grande caldo di quest’estate di sicuro non mi ha aiutato».

«Sono diventato un po’ più saggio»

La malattia di Parkinson ha influenzato le sue abitudini: «Ho sempre la stessa energia, la stessa voglia di fare, ma quando sento che le gambe non mi reggono più ho imparato a fermarmi. Sono diventato un po’ più saggio».
«L’arte - scrive Pablo Picasso - spazza la nostra anima dalla polvere della quotidianità». Per Tarcisio è diventata un modo per ricercare ed esprimere la bellezza della vita a partire da elementi umili come i fiori, le foglie, gli alberi, le geometrie variabili dei profili delle case. I suoi dipinti toccano spesso profonde corde emotive, come mostrano i commenti che i visitatori delle mostre lasciano nei «libri delle firme».

C’è una grande tela, un paesaggio pieno di luce che occupa l’intera parete della camera di Tarcisio, sistemato con cura sopra la testata del letto: «Quest’opera ha avuto una genesi tormentata - spiega -, perché all’inizio le dimensioni della tela bianca sul cavalletto mi parevano enormi. Mi sembrava troppo per me, come se quella composizione fosse un’altissima vetta da scalare. Ho dovuto aspettare a lungo, quasi un anno, prima di maturare l’idea giusta e decidermi a “sporcarla”, ma quando finalmente l’ispirazione è arrivata l’ho terminata nel giro di una notte». Ora la tiene cara, quasi come un trofeo: anch’essa è diventata un simbolo della sua capacità di non arrendersi, di affrontare una sfida alla volta, di alimentare la sua passione per una vita sempre «a colori».

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