Vivere la sclerosi multipla a viso aperto. «Mi sono dovuta abituare all’incertezza»

La storia La malattia si è manifestata due anni fa in pieno lockdown. Rita Grandi: «Accettare il verdetto è stato difficile».

Ci vogliono pazienza e attenzione per costruire oggetti in miniatura: occorre scegliere i materiali giusti, assemblarli con delicatezza, cercare l’armonia delle forme. Così Rita Grandi, 42 anni, di Treviglio, da quando ha scoperto di avere la sclerosi multipla ricostruisce il suo mondo da capo partendo dai dettagli, dagli incontri di ogni giorno, dagli hobby, dalle sue passioni. «Le cose piccole - come scrive Georges Bernanos - hanno l’aria di nulla ma danno la pace».

Mettere in fila i giorni anche quando il destino si ribella, quando la fragilità si affaccia all’improvviso nella quotidianità: è una sfida continua per Rita, che l’affronta a viso aperto, impegnandosi nelle attività dell’Aism (Associazione italiana sclerosi multipla, www.aism.it). «La nostra - spiega - è una malattia ancora poco conosciuta e spesso porta con sé emarginazione e pregiudizi verso le persone che ne sono affette, soprattutto sul posto di lavoro. In quest’ambito servirebbero più tutele, valide per chiunque, come noi, soffra di una patologia invalidante».

«Ero uscita da poco quando ho avvertito un formicolio in tutto il corpo. Sentivo uno strano malessere, unito a un’invincibile stanchezza. Lavoro in un’azienda che si occupa di logistica e anche in quel periodo eravamo pienamente operativi. In quella settimana, però, ero a casa in ferie. Era un brutto momento, avevamo tutti paura. Non si trovavano le mascherine e i disinfettanti, non si sapeva ancora di preciso in quale incubo fossimo precipitati. Nei giorni successivi continuavo a peggiorare, ero sempre molto stanca»

I primi segnali

I primi sintomi si sono presentati nella primavera del 2020, nel pieno della pandemia, quando Bergamo stava attraversando il dramma: «Eravamo in lockdown, si poteva uscire solo restando nei pressi della propria abitazione per portare a spasso il cane. Ero fuori con il mio Toby, un trovatello a cui sono molto legata: l’ho adottato in canile e vive con me da tempo. Abito in mezzo alla campagna, quindi anche in quel momento complicato era possibile passeggiare senza troppe preoccupazioni godendosi l’aria e il verde. Ero uscita da poco quando ho avvertito un formicolio in tutto il corpo. Sentivo uno strano malessere, unito a un’invincibile stanchezza. Lavoro in un’azienda che si occupa di logistica e anche in quel periodo eravamo pienamente operativi. In quella settimana, però, ero a casa in ferie. Era un brutto momento, avevamo tutti paura. Non si trovavano le mascherine e i disinfettanti, non si sapeva ancora di preciso in quale incubo fossimo precipitati. Nei giorni successivi continuavo a peggiorare, ero sempre molto stanca. Mi sembrava che si fosse un po’ abbassata anche la vista, come se gli occhi fossero appannati. Ho ricominciato comunque a lavorare e scherzavo con i colleghi sulla mia debolezza, attribuendola alla primavera e all’atmosfera difficile della pandemia. Ci dicevamo che era un periodo pesante per tutti, e che prima o poi sarebbe passato».

Non è stato così per Rita, che poco dopo ha dovuto affrontare nuove difficoltà: «Sentivo continui formicolii a un braccio. Credevo di soffrire di tunnel carpale, ma il medico che ha eseguito l’ecografia mi ha sollecitato a consultarmi di nuovo con il medico di base per provvedere ad altri approfondimenti. La mia dottoressa, dopo un’attenta riflessione, mi ha consigliato di rivolgermi al pronto soccorso».

In quei mesi, però, gli ospedali erano presi d’assalto e Rita si è ritrovata nel pieno della tempesta del Covid: «Mi sono rivolta all’ospedale di Treviglio e mi sono resa subito conto che l’intera struttura si trovava in una situazione di grave sovraccarico. Ho dovuto aspettare per due giorni all’interno del reparto di emergenza dormendo su una sedia a rotelle, ogni tanto passava qualcuno per sottopormi a un tampone. Poi un neurologo mi ha visitato e ha deciso di ricoverarmi».

La diagnosi

Rita ha trascorso qualche giorno in reparto, sottoponendosi a test ed esami. «I miei problemi di movimento erano peggiorati ma cercavo di coltivare pensieri positivi. Pensavo per esempio a come avrei potuto festeggiare con una bella cena una volta dimessa dall’ospedale». La prima indicazione data dai medici è stata di «infiammazione al midollo spinale», con il consiglio di recarsi all’Ospedale di Bergamo per approfondimenti. A giugno è arrivata infine la diagnosi di sclerosi multipla: «Non ne sapevo nulla e accettare quel verdetto è stato difficile. Ero a terra, molto arrabbiata. Ho la fortuna di avere accanto Andrea, un compagno molto gentile, molto disponibile che mi è sempre stato vicino impegnandosi al massimo per alleviare fatiche e sofferenze. Poi mi sono sentita sollevata al pensiero che avrei potuto iniziare le terapie e stare meglio». Nel frattempo, purtroppo, a seguito di una caduta si è procurata una frattura al ginocchio: «Dopo questo infortunio ho dovuto essere operata». Ne è seguito un periodo particolarmente faticoso: «Mi sono resa conto all’improvviso di quanto possano essere fastidiose le barriere architettoniche come i gradini o l’assenza di marciapiedi per chi ha una disabilità motoria».

Quando è tornata a lavorare Rita non si sentiva più la stessa: «Mi affaticavo più facilmente, non è sempre facile conciliare questa condizione di malattia con le abituali mansioni lavorative. Anche per questo, per averlo sperimentato sulla mia pelle, ho capito quanto sia importante intraprendere azioni di sensibilizzazione con l’Aism: è giusto che le persone con malattie invalidanti abbiano la possibilità di rinegoziare le condizioni di lavoro e di trovare un accordo con l’azienda, per ottenere per esempio un orario adeguato alle proprie esigenze. Occorrono leggi che garantiscano davvero, non solo in teoria, situazioni lavorative compatibili con lo stato della salute. Nel periodo della pandemia si è parlato molto per esempio di smart working. Sarebbe bello se si potesse proseguire e potenziare questa esperienza, con regole adeguate e soddisfacenti per entrambe le parti, azienda e lavoratore, anche per proteggere le categorie più fragili. Ci vuole più flessibilità».

Quando è tornata a lavorare Rita non si sentiva più la stessa: «Mi affaticavo più facilmente, non è sempre facile conciliare questa condizione di malattia con le abituali mansioni lavorative. Anche per questo, per averlo sperimentato sulla mia pelle, ho capito quanto sia importante intraprendere azioni di sensibilizzazione con l’Aism»

Una nuova quotidianità

Rita ha affrontato con coraggio la situazione, senza mai arrendersi e senza far pesare la sua condizione sui colleghi: «Mi sono sforzata di tenere duro anche quando non mi sentivo bene e di portare avanti normalmente i miei incarichi abituali».

Ha messo più energia nel coltivare le sue passioni, da cui trae nuovo entusiasmo da spendere negli impegni di ogni giorno: «Seguo un corso di pilates, mi aiuta a mantenere la mobilità. Ho riscoperto il piacere di dedicarmi agli oggetti in miniatura. Mi sono innamorata di quest’arte osservando i lavori dei maestri giapponesi e ho sentito il desiderio di imitarli creando in particolare case in miniatura. Ho ancora tanta strada da fare, sto imparando. Ho iniziato ricreando l’interno della mia abitazione. C’è tutto: i mattoncini a vista, i mobili della cucina, la moto con cui facciamo le nostre gite, una chitarra, perché amiamo la musica, il pane sulla tavola, come simbolo del gusto per la buona cucina. Mi piace molto anche disegnare. Questi passatempi forse possono sembrare noiosi, ma mi permettono di esprimere me stessa e mi danno moltissima gioia».

Da quando convive con la sclerosi multipla non guarda più la vita e il mondo nello stesso modo: «Ho dovuto abituarmi a vivere in una condizione di forte incertezza. Dal 2020 a oggi non ho avuto gravi ricadute, sto abbastanza bene, posso curarmi assumendo solo una pastiglia al giorno, mi sono adattata ad alcune conseguenze comuni della sclerosi multipla, come qualche piccola incrinatura nella memoria e nella concentrazione, ma si tratta comunque di difficoltà circoscritte».

Si tratta di segnali «invisibili» che a volte vengono interpretati in modo scorretto. «Le persone che sono al corrente della mia malattia capiscono - sottolinea Rita -, gli altri purtroppo no. È difficile spiegare esattamente la natura di questa patologia invisibile, chiarire che ogni persona è diversa dall’altra. Cerco di sdrammatizzare, di scherzarci su. Nel frattempo ho sicuramente imparato a essere più riflessiva, più attenta».

Priorità, valori e volontariato

La malattia l’ha aiutata a ridefinire le sue priorità e i suoi valori: «Ora attribuisco minore importanza a problemi e situazioni che magari in passato mi avrebbero turbata. Cerco di godermi ciò che ho, e mi sento comunque fortunata. Vorrei contagiare gli altri con questo modo di pensare: vorrei per esempio che le persone si rendessero conto di quanto sia importante apprezzare il presente, vivere con gratitudine il tempo che trascorriamo insieme, assaporando anche le piccole cose, senza farsi divorare dalle preoccupazioni per il futuro, come invece accade spesso». Basta poco, in fondo, per rendere memorabile una giornata: «La telefonata inaspettata di un’amica, l’incontro con una persona nuova, una passeggiata, tutti momenti da ricordare. Ora mi concentro molto di più sulle relazioni che sulle cose materiali».

Grazie all’Aism ha riscoperto anche il piacere di stringere nuove amicizie: «Ho trovato un volantino in ospedale e ho subito contattato la sezione di Bergamo per avere informazioni. Nel periodo della pandemia ovviamente non era possibile incontrarsi, così all’inizio i nostri legami sono stati soltanto virtuali. Ho atteso con impazienza il momento in cui abbiamo potuto finalmente vederci per la cena sociale, nell’autunno scorso. Nel frattempo però avevo già incontrato alcune persone, scoprendo con grande gioia quanto può essere confortante condividere esperienze e offrirsi informazioni e consigli a vicenda. A volte un problema in apparenza irrisolvibile diventa semplice». Rita si è dedicata con entusiasmo alle attività di volontariato e di raccolta fondi: «Ho messo a frutto nei nostri stand l’esperienza di vent’anni come promotrice di vendita nei supermercati nei weekend. Mi divertiva molto fermare le persone e far loro assaggiare nuovi prodotti. Ho smesso quando stare in piedi per otto ore è diventato troppo faticoso. Certo ora, ad esempio, mi impegno nell’offrire le mele dell’Aism con uno spirito diverso. Spero che sia possibile creare nuove occasioni d’incontro». L’amicizia, la condivisione, una comprensione profonda aiutano a proiettare una luce più confortante sul futuro, facendo spazio alla speranza.

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