Con il Frosinone inizia una partita lunga 50 giorni

Una partita lunga 50 giorni. L’Atalanta ripone sotto il cuscino i sogni di coppa (Italia o Europa non fa differenza, e già questo dà l’idea di quanto è stato fatto finora: per scegliere ci sarà tempo) e fino ai primi di marzo torna a dedicarsi completamente al campionato. Che in questo avvio di girone di ritorno sembra strizzarle l’occhio, quasi ne volesse richiamare le attenzioni sentendosi un po’ trascurato.

Da stasera a sabato 17 febbraio, l’Atalanta giocherà in casa 4 partite su 5 con un solo scontro diretto (la Lazio a Bergamo il 4 febbraio) e 4 squadre che in classifica le stanno parecchio dietro: Frosinone, Udinese, Genoa (unica trasferta) e Sassuolo. Per consolidare la classifica e mettere fieno in cascina in vista dei fuochi d’artificio che poi in 8 giorni (da domenica 25 febbraio a domenica 3 marzo) la vedranno due volte a San Siro (Milan e Inter) e in casa col Bologna. Giusto alla vigilia, a quel punto, degli ottavi di Europa League. Insomma, una partita lunga 50 giorni da vincere in prospettiva, per posizionarsi in vista della volata finale. Ma da vincere anche nell’immediato. Perché, senza spingersi troppo in là con le previsioni, battendo il Frosinone stasera al Gewiss Stadium la squadra di Gasperini salirebbe al quinto posto a -1 dalla Fiorentina quarta, raggiungendo la Lazio, scavalcando il Bologna e il Napoli e spedendo a -4 la Roma. Un bel modo per cominciare il girone di ritorno per una squadra che contro le avversarie della seconda metà della classifica, da agosto a oggi, ha perso solo una volta. Contro chi? Indovinato. Contro il Frosinone che per più di metà girone di andata (cominciando proprio da quel 26 agosto) è stata la rivelazione del campionato, ma oggi sembra rientrata nei ranghi.

Quei ranghi dove ieri, per un giorno, è entrata anche Sofia Goggia (8ª in superG per un errore ammesso senza reticenze) della quale però, in questo weekend austriaco di Altenmarkt, ricorderemo tutti la straordinaria impresa di sabato: vittoria in discesa libera su una pista indigesta e centro numero 24 in Coppa del Mondo, con tanto di sfogo finale in lacrime. Lacrime di gioia, di rabbia, d’orgoglio. Di un’atleta eccezionale la cui forza sta anche nel non dimenticarsi mai di essere normale. Perché poi dove sta scritto che piangere debba essere per forza un segno di debolezza?

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