Neoplasia al retto, eliminarla senza chirurgia «è possibile»

NEL 25% DEI CASI. Lo dimostra un studio coordinato da Niguarda e «Statale» di Milano con l’aiuto di Airc e a cui ha preso parte anche il «Papa Giovanni».

È una patologia insidiosa e diffusa: ogni anno in Italia si contano oltre 14mila casi di tumore del retto con 5mila decessi, mentre nel mondo si arriva a 700mila diagnosi e 340mila morti all’anno. La ricerca fa però passi in avanti, sia sul fronte dei risultati sia dell’approccio terapeutico, ed elementi incoraggianti giungono dallo studio «No-Cut», coordinato dall’ospedale Niguarda e dall’Università Statale di Milano con il supporto di Fondazione Airc per la ricerca sul cancro e il coinvolgimento di quattro centri oncologici, tra cui il «Papa Giovanni» di Bergamo.

Nel progetto sono stati coinvolti 180 pazienti con carcinoma del retto localmente avanzato (ma privo di metastasi), una tipologia che contraddistingue circa un terzo di tutte le nuove diagnosi. Solitamente, in queste persone la guarigione è possibile attraverso una terapia multimodale che comprende radioterapia, terapia medica oncologica e chirurgia del retto; il protocollo «No-Cut» ha dimostrato che nel 25% dei pazienti coinvolti nello studio è stato possibile ottenere una remissione completa del tumore senza chirurgia, riducendo quindi l’invasività e migliorando la qualità della vita. Le evidenze sono state pubblicate sulla rivista scientifica internazionale «The Lancet Oncology». Più nel dettaglio, lo studio ha permesso di identificare i pazienti (e le caratteristiche dei pazienti) che possono evitare l’intervento e quelli che viceversa possono saltare trattamenti inefficaci andando direttamente all’operazione.

«I dati emersi – riassume Salvatore Siena, direttore dell’Oncologia Falck all’ospedale Niguarda e professore ordinario di Oncologia medica all’Università degli Studi di Milano – dimostrano che, quando le terapie preoperatorie eliminano il tumore, la chirurgia può lasciare il posto a un attento follow-up, offrendo così la possibilità di guarire senza necessità di intervento

Nello studio «No-Cut», si legge su «The Lancet Oncology», «c’è una importante componente traslazionale: i medici e i ricercatori hanno infatti utilizzato strumenti diagnostici avanzati, come l’analisi del Dna tumorale circolante (con la cosiddetta biopsia liquida, ndr) e delle caratteristiche di trascrizione dei singoli tumori. Lo scopo era identificare i pazienti che possono beneficiare della terapia neoadiuvante e dell’approccio non-chirurgico o quelli che, non beneficiandone affatto, possono essere avviati alla chirurgia immediatamente, evitando trattamenti non efficaci». «I dati emersi – riassume Salvatore Siena, direttore dell’Oncologia Falck all’ospedale Niguarda e professore ordinario di Oncologia medica all’Università degli Studi di Milano – dimostrano che, quando le terapie preoperatorie eliminano il tumore, la chirurgia può lasciare il posto a un attento follow-up, offrendo così la possibilità di guarire senza necessità di intervento. I risultati raccolti hanno confermato la sicurezza di questa strategia, diventata un’opzione consolidata nelle linee guida terapeutiche per il carcinoma del retto». Secondo Siena, si tratta di «un progresso significativo per le persone affette da carcinoma del retto ed è una pietra miliare dell’oncologia».

Il contributo di Bergamo

«Siamo orgogliosi di aver contribuito, come gruppo multidisciplinare dell’Asst Papa Giovanni XXIII, a questo studio che conferma il valore di una strategia di sorveglianza senza chirurgia in pazienti selezionati con tumore del retto localmente avanzato – approfondisce l’oncologa Stefania Mosconi, principal investigator per l’ospedale di Bergamo -. I risultati mostrano che un paziente su quattro può evitare l’intervento, mantenendo una sopravvivenza libera da metastasi a 30 mesi pari al 95%. È un dato molto rilevante, perché significa preservare la qualità di vita senza compromettere l’efficacia oncologica». Lo studio è formalmente chiuso: non è quindi più possibile arruolare nuovi pazienti, tuttavia «la solidità dei risultati ci consente oggi anche al “Papa Giovanni XXIII” di applicare questa strategia nella pratica clinica per casi altamente selezionati», rimarca Mosconi.

Non è un percorso adatto a tutti, ma che «riguarda pazienti con tumori del retto medio-distale senza instabilità micro satellitare. Questi ultimi dispongono infatti di una strategia di cura che è l’immunoterapia – specifica l’oncologa -. La corretta selezione e il lavoro integrato di tutte le specialità coinvolte sono elementi chiave per garantire sicurezza e appropriatezza». Allo studio, per il «Papa Giovanni», hanno partecipato anche i medici Giorgia Negrini dell’Oncologia, Francesco Romeo Filippone della Radioterapia, Cesare Burti dell’Endoscopia digestiva, Pietro Bonaffini della Radiologia, Elia Poiasina della Chirurgia 1, Lisa Licini dell’Anatomia patologica, Lucrezia Goisis della Genetica medica e la Farmacia ospedaliera per la preparazione dei farmaci antiblastici, oltre al data manager Andrea Bianchetti, alle infermiere di ricerca e al personale infermieristico. «Ringraziamo il professor Siena e i colleghi di Niguarda per il coinvolgimento e – aggiunge Mosconi -, soprattutto, i pazienti che hanno reso possibile questo percorso innovativo». Gli altri centri oncologici che hanno partecipato al progetto sono il Niguarda, l’Istituto europeo di oncologia di Milano e l’Istituto oncologico veneto di Padova; agli studi traslazionali e alla statistica ha collaborato anche l’Istituto Mario Negri.

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