La salute / Bergamo Città
Martedì 30 Dicembre 2025
Troppe proteine nel cuore: il muscolo perde elasticità
AMIDOLLOSI CARDIACA. Con le tecniche di imaging cardiologico avanzato diagnosi più tempestive. Il ruolo dell’ambulatorio del «Papa Giovanni».
L’amiloidosi cardiaca è una patologia complessa e a lungo rimasta poco riconosciuta, perché i suoi sintomi iniziali – affaticamento, mancanza di respiro, gonfiore agli arti inferiori – sono comuni a molte forme di cardiopatia e spesso vengono attribuiti all’età o allo scompenso cardiaco «tradizionale». In questa malattia, il deposito anomalo di proteine nel muscolo cardiaco ne compromette progressivamente la capacità di rilassarsi e di pompare sangue in modo efficace. Il quadro clinico che ne deriva può sovrapporsi a quello delle forme più diffuse di scompenso cardiaco, rendendo la diagnosi particolarmente insidiosa. Per anni, proprio per questa somiglianza, l’amiloidosi cardiaca è stata considerata un vero e proprio «camaleonte clinico», spesso identificato solo in fase avanzata. Negli ultimi anni, tuttavia, lo scenario è cambiato in modo evidente. L’introduzione di tecniche di imaging cardiologico avanzato, insieme a percorsi diagnostici più strutturati e a una crescente formazione dei clinici, ha reso possibile riconoscere l’amiloidosi cardiaca con maggiore precisione e tempestività. Oggi non è più una diagnosi eccezionale, ma una condizione che viene considerata sempre più spesso nel percorso diagnostico di alcuni pazienti con scompenso cardiaco, in particolare nella popolazione anziana.
L’introduzione di tecniche di imaging cardiologico avanzato, insieme a percorsi diagnostici più strutturati e a una crescente formazione dei clinici, ha reso possibile riconoscere l’amiloidosi cardiaca con maggiore precisione e tempestività
In questo contesto, Bergamo sta progressivamente rafforzando il proprio ruolo. L’Asst Papa Giovanni XXIII è uno dei centri lombardi inseriti nella Rete Malattie Rare per le amiloidosi sistemiche e ha sviluppato un modello di presa in carico strutturato per i pazienti con sospetta o accertata amiloidosi cardiaca. All’interno dell’ospedale è attivo un ambulatorio dedicato all’amiloidosi cardiaca, integrato nel percorso dello scompenso cardiaco e inserito in una rete multidisciplinare che coinvolge cardiologi, ematologi, specialisti dell’imaging e medici del territorio.
Il percorso si inserisce nell’attività del Dipartimento Cardiovascolare dell’Asst Papa Giovanni XXIII, diretto dal Professor Michele Senni, riferimento nazionale per lo scompenso cardiaco, sotto la cui guida si è consolidata anche l’esperienza dell’azienda nell’ambito dell’amiloidosi cardiaca. Ne parliamo con la dott.ssa Emilia D’Elia, cardiologa dell’Asst Papa Giovanni XXIII di Bergamo, referente del Day Hospital dell’Insufficienza Cardiaca e dell’Ambulatorio Scompenso Cardiaco, attivamente coinvolta nel percorso multidisciplinare di diagnosi e presa in carico dei pazienti con amiloidosi cardiaca.
L’amiloidosi cardiaca non è più una patologia sconosciuta come in passato: oggi esiste una maggiore formazione sul territorio e una maggiore consapevolezza clinica. Questo ha portato i medici, anche fuori dai centri specialistici, a considerarla più spesso nel percorso diagnostico dei pazienti con scompenso cardiaco
Dottoressa, l’amiloidosi continua ad essere una patologia cardiaca misconosciuta?
«Negli ultimi anni la situazione è cambiata in modo significativo. L’amiloidosi cardiaca non è più una patologia sconosciuta come in passato: oggi esiste una maggiore formazione sul territorio e una maggiore consapevolezza clinica. Questo ha portato i medici, anche fuori dai centri specialistici, a considerarla più spesso nel percorso diagnostico dei pazienti con scompenso cardiaco. Resta comunque una malattia complessa, con molte sfaccettature e con un’evoluzione che può variare molto in base al tipo di amiloide coinvolto. Proprio per questo è fondamentale che i pazienti vengano valutati all’interno di centri di riferimento, mantenendo un livello di attenzione elevato ma senza creare allarmismo. Il riconoscimento precoce consente un inquadramento più accurato e una gestione più efficace, con benefici concreti sulla qualità di vita e sulla riduzione delle ospedalizzazioni».
Qual è oggi la situazione nella provincia di Bergamo? E quali sono le principali sfide del territorio?
«Attualmente l’ASST Papa Giovanni XXIII rappresenta il principale centro di riferimento per l’area di Bergamo. Questo significa che i pazienti con sospetto di amiloidosi cardiaca devono essere indirizzati da noi per completare un percorso diagnostico accurato, già iniziato sul territorio, e che può ultimarsi con l’esecuzione di eventuali biopsie endomiocardiche, oltre che di test genetici. Nel nostro territorio è stato osservato anche un cluster diagnostico particolare, che ha richiesto un approccio sempre più interdisciplinare. In particolare, collaboriamo strettamente con i neurologi, perché l’amiloidosi può coinvolgere anche il sistema nervoso, e abbiamo strutturato team multidisciplinari all’interno dell’ospedale per una gestione più efficace e coordinata della patologia. Sul territorio c’è oggi una maggiore attenzione da parte dei medici, ma una delle difficoltà è legata al fatto che, essendo un unico centro di riferimento, riceviamo talvolta pazienti inviati in una fase troppo precoce, senza che sia stato completato lo screening di base. L’obiettivo è rafforzare il lavoro di rete affinché il paziente arrivi al centro con un sospetto già ben fondato e un primo inquadramento clinico».
Quanto è importante, per una patologia come l’amiloidosi cardiaca, lavorare secondo un modello hub & spoke?
«È fondamentale. L’amiloidosi cardiaca richiede un’organizzazione chiara dei percorsi. Da un lato è necessario che esista un centro hub, in grado di garantire competenze specialistiche e multidisciplinari; dall’altro è essenziale che il territorio svolga un ruolo di filtro appropriato. Negli ultimi mesi abbiamo intensificato le attività di formazione e confronto con i centri vicini – come Seriate, Treviglio, Ponte San Pietro e altre realtà del territorio – proprio per condividere criteri di sospetto e percorsi diagnostici di base. Questo permette di evitare sia ritardi nella diagnosi sia un sovraccarico improprio del centro di riferimento. L’obiettivo è che i pazienti vengano inviati al Papa Giovanni XXIII nel momento giusto, con una valutazione preliminare già eseguita, riservando al centro hub i casi più complessi o quelli che necessitano di approfondimenti specifici».
«L’invecchiamento della popolazione gioca certamente un ruolo: l’età media dei pazienti con scompenso cardiaco nel nostro reparto è elevata, e l’incidenza dell’amiloidosi cardiaca aumenta con l’età. Una maggiore consapevolezza clinica porta quindi a un aumento delle diagnosi, che in passato probabilmente non venivano intercettate»
Possiamo dire che Bergamo stia diventando un nodo rilevante nella rete italiana dell’amiloidosi cardiaca?
«Sì, possiamo dirlo. Siamo entrati nella rete italiana dell’amiloidosi cardiaca (RIAC), collaborando con centri di riferimento nazionali come Trieste, Firenze e Pavia. Parallelamente, lavoriamo molto anche all’interno della rete regionale lombarda. Il nostro punto di forza è l’expertise consolidata nello scompenso cardiaco. Come Dipartimento Cardiovascolare, diretto dal professor Michele Senni, seguiamo pazienti in tutte le fasi dello scompenso: dalle forme iniziali a quelle avanzate. Questo ci consente di integrare in modo naturale la gestione dell’amiloidosi cardiaca all’interno di un percorso già strutturato. Il valore aggiunto del nostro centro è la possibilità di accompagnare il paziente lungo tutto il decorso della malattia, con un approccio globale che tiene conto non solo dell’aspetto cardiologico, ma anche della fragilità e delle comorbidità, tipiche di una popolazione prevalentemente anziana».
L’amiloidosi cardiaca è ancora da considerarsi una malattia rara?
«Formalmente sì: rientra ancora tra le malattie rare ed è gestita all’interno della rete dedicata del nostro ospedale. Tuttavia, nella pratica clinica i numeri stanno crescendo, soprattutto perché oggi la patologia viene riconosciuta e diagnosticata più frequentemente. L’invecchiamento della popolazione gioca certamente un ruolo: l’età media dei pazienti con scompenso cardiaco nel nostro reparto è elevata, e l’incidenza dell’amiloidosi cardiaca aumenta con l’età. Una maggiore consapevolezza clinica porta quindi a un aumento delle diagnosi, che in passato probabilmente non venivano intercettate».
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