Covid, in due mesi un ricovero in ospedale
254 i positivi sorvegliati, -80% da giugno

Nessun paziente nelle terapie intensive e anche i casi di persone in sorveglianza attiva sono crollati. Fagiuoli, direttore di Medicina: «Non sottovalutare e non drammatizzare. Avanti con mascherine e prevenzione».

Zero ricoveri in terapia intensiva negli ospedali della provincia di Bergamo, un ricoverato in reparto per polmonite da coronavirus. Sono questi i dati più importanti per capire a che punto è l’epidemia. In un’Italia che sta tornando a scoprire quanto può essere pericoloso il SARS-CoV-2, la provincia di Bergamo sembra guardare tutti dall’alto forte di un’efficace e costante opera di prevenzione.

Non che qui i positivi non ci siano, anzi: nonostante l’andamento stabile degli ultimi giorni c’è stata una leggera crescita rispetto a settimana scorsa, dovuta in gran parte ai test eseguiti sui vacanzieri di rientro da paesi a rischio. Quello che conta, però, è se il contagio porta allo sviluppo di una malattia grave, che necessita di un ricovero in ospedale. A marzo e aprile i dati delle persone malate erano talmente sottostimati da rendere impossibile un tracciamento del virus in provincia di Bergamo.

Oggi il quadro è molto più preciso perché - banale dirlo - in ospedale non c’è quasi più nessuno: le tre aziende socio sanitarie territoriali confermano che attualmente non c’è nessun ricovero in terapia intensiva. Si registra un ricovero per polmonite da coronavirus all’ospedale di Romano di Lombardia: in reparto, quindi non in gravi condizioni. All’ospedale Papa Giovanni XXIII di Bergamo sono invece 11 i ricoverati positivi, entrati in ospedale per tutt’altro. Fratture, operazioni di routine, visite. Il protocollo impone l’esecuzione dei tamponi a tutti i pazienti ricoverati e, tra i tanti, 11 hanno scoperto di essere contagiati.

La minor pressione sugli ospedali bergamaschi dipende da molti fattori. Il primo: come dimostrano i risultati dei test sierologici, il virus ha già colpito con forza in Bergamasca e quindi una parte consistente della popolazione ha sviluppato anticorpi. Non si può parlare di immunità di gregge per due motivi. Perché l’indagine di sieroprevalenza dice che il 24% dei bergamaschi ha contratto il virus, una percentuale bassa rispetto alla soglia di immunità, e perché non è ancora chiara la persistenza degli anticorpi. Il secondo fattore che spiega l’attuale situazione sotto controllo è l’età mediana dei positivi: si è abbassata a 30 anni contro i 63 anni di marzo, nel periodo clou dell’epidemia. E i giovani, con più difese rispetto alle categorie a rischio come gli anziani, combattono meglio la malattia.

Se negli ospedali la Covid-19 è sotto stretta osservazione, sul territorio il virus non fa più paura come nei mesi dell’emergenza. I casi positivi negli ultimi due mesi sono crollati. Ats Bergamo conferma che i cittadini sottoposti a sorveglianza attiva dopo il tampone sono 254. I loro contatti stretti sono 285. Il 24 giugno, due mesi fa, le persone seguite da Ats (positivi e contatti) erano 2.257. Il calo complessivo quindi sfiora l’80%, per la precisione -76%. E la differenza non è solo quantitativa, ma qualitativa: a giugno Ats distingueva tra «debolmente positivi» e casi normali, asintomatici o paucisintomatici (poco sintomatici). Essendo quasi tutti debolmente positivi, l’Azienda di tutela della salute ora non fa più distinzioni. Nonostante gli appelli delle ultime settimane, i protocolli non sono cambiati e queste persone rimangono in quarantena fino al doppio tampone negativo perché non è ancora chiaro quanto siano contagiose. Al momento è difficile capire se il monitoraggio con i tamponi stia intercettando tutti i casi oppure molti rimangano sottotraccia come a marzo e aprile. L’andamento stabile, senza impennate, è una prima conferma dell’attuale efficacia dello screening dopo le difficoltà dei mesi scorsi.

Stefano Fagiuoli, direttore del Dipartimento di Medicina dell’ospedale Papa Giovanni di Bergamo, intervistato da BergamoTV, spiega che l’azzeramento degli ospedalizzati è «un dato statistico, ma non dobbiamo rischiare di diffondere il messaggio che anche se prendo la malattia non succede nulla. Un rischio clinico per alcune persone esiste. E piuttosto che farsi la domanda su quando arriverà il vaccino dobbiamo mantenere attenzione su cose banali che influenzano poco la nostra vita: mascherina, distanziamento, un po’ di attenzione. Sono misure eccessive? Sarei felice di scoprire che siamo stati eccessivi».

Per Fagiuoli «è evidente che in questo momento l’infezione si sta esprimendo con una condizione che non è clamorosa e grave come abbiamo visto nei mesi terribili di marzo e aprile. È un dato positivo. Ma non ci deve far abbassare la guardia. Io sono tra coloro che ritengono che le scuole debbano essere riaperte. Dobbiamo aspettarci qualche problema come in Germania dove sono state richiuse 100 scuole. Chiuderne qualcuna non vuol dire chiuderle tutte». Il faro deve essere l’equilibrio nelle valutazioni e nella comunicazione. Come mesi fa, quando rivolse un accorato appello che ha fatto il giro del mondo, Fagiuoli ora invita al buon senso: «Il pericolo è di sottovalutare a prescindere. Ma non dobbiamo nemmeno drammatizzare. Mascherina, distanziamento e prevenzione sono fondamentali. Davanti a una ripresa dei casi abbiamo delle alternative di comportamento al lockdown totale e questo è un buon messaggio da ricordare».

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