Dalla missione laica al sacerdozio, la Bolivia abbraccia don Giavarini

TELGATE. Era partito dalla bergamasca nel 1976. Si è occupato di giovani in carcere e poveri. La chiamata nel 2019 dopo la morte della moglie, ora il rito di ordinazione nella diocesi di El Alto.

Dall’altra parte dell’emisfero, esattamente in terra boliviana, sabato 25 marzo la Chiesa di Bergamo ha gioito per l’ordinazione sacerdotale di un suo figlio: don Riccardo Giavarini. Le sue radici stanno nel paese di Telgate, da cui partì nel 1976, giovane missionario laico lasciando la famiglia di origine e dando inizio alla sua nuova famiglia con la moglie Bertha e i suoi cinque figli, per qualche anno in Perù e poi in Bolivia. L’azione di Riccardo, nella grande realtà di La Paz, la capitale, si è svolta a favore dei ragazzi nel carcere minorile con attenzione particolare alla giustizia riparativa, alle bambine adolescenti vittime della tratta e alla migrazione venezuelana. Il suo impegno a favore dei poveri si è intrecciato con i numerosi missionari bergamaschi che si sono susseguiti nella missione boliviana, di cui ricorrono i sessant’anni del suo inizio. Gli studi teologici, la formazione culturale e spirituale a cui si è dedicato nel tempo della Missione lo hanno reso partecipe della vita della Chiesa boliviana, in stretta collaborazione con i vescovi del luogo e in particolare con monsignor Eugenio Scarpellini e don Basilio Bonaldi.

Parroco di Apóstol San Felipe de Seke

La chiamata della Chiesa al servizio ministeriale del presbiterato, è avvenuta nel 2019, dopo la morte della moglie e con l’assenso dei figli. Lo scorso luglio, in presenza del vescovo di Bergamo, Riccardo è stato ordinato diacono. Ora è prete nella diocesi di El Alto, ordinato dal vescovo monsignor Giovani Edgar Arana, il quale gli ha affidato la parrocchia di Apóstol San Felipe de Seke, mantenendo la responsabilità della pastorale carceraria. La Chiesa di El

Alto ha vissuto un momento di gioia per il dono di un prete a servizio della diocesi, nella festosa Comunità che ha suonato, cantato e pregato in lingua castigliana e con la sensibilità e il dialetto aymara di alcuni canti dei poveri tradizionali di quella terra. I riti di ordinazione si sono svolti nel raccoglimento dei fedeli presenti, con i familiari di Riccardo, tra cui le sorelle Rita e Giovanna, giunte dall’Italia per l’occasione. Dalla casa natia di Telgate anche la mamma di don Riccardo, ha seguito online il rito con commozione accompagnata dalle campane della chiesa parrocchiale che suonavano a festa per l’evento. L’abbraccio di pace dei vescovi presenti, tra cui monsignor Eugenio Coter, bergamasco vescovo a Pando, e dei concelebranti, tra cui don Massimo Rizzi, direttore del Centro missionario diocesano e don Giovanni Algeri parroco di Munaypata a La Paz, hanno concluso il rito per poi lasciare spazio alla festa preparata dai giovani di Munaypata che hanno messo in scena «33 El Musical- De la llegada del mayor influencer de la historia».

Lo stile bergamasco

La gioia del canto e della danza che ha coinvolto tutti i presenti hanno manifestato il volto di Comunità, che seppur nelle difficoltà di quel territorio, è aperta alla speranza e si sente sostenuta nella comune missione di testimoniare il Vangelo, come disse il vescovo Francesco: «C’è un aspetto che appartiene alla missione in generale: è la capacità di aprire. Questo è il primo dono della missione: anche a Bergamo, anche nelle nostre belle parrocchie e nelle nostre tradizioni si possono manifestare le tentazioni di una chiusura. La missione ci ha regalato apertura contro l’autoreferenzialità. Bergamo è nel mondo sicuramente attraverso l’imprenditorialità e i suoi artigiani, ma non di meno è nel mondo grazie ai suoi missionari. Da loro ha ricevuto e riceve costantemente un volto di generosità, apertura e dedizione. Lo stile bergamasco della missione non è visibile solo nelle opere, ma nella capacità di vivere la vita dei poveri insieme a loro, è l’arte di condividere alla pari: gli altri non sono destinatari, ma fratelli, sorelle, amici».

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