Fuga dalla città della centrale nucleare: «Sfiancate da due settimane di bombe»

La storia Due mamme con tre figliolette scappate da Zaporizhzhya e accolte dal Comune di Telgate. «Nel nostro condominio costruito 50 anni fa nascoste nelle cantine insicure, poi nel bunker di un bar».

Il punto più basso delle cronache di guerra fu raggiunto probabilmente nell’aprile 2003, quando i nostri tg nazionali trasmisero all’ora di cena in diretta e senza scrupoli i bombardamenti su Bagdad. Ma in quelle palle di fuoco seguite alle esplosioni delle bombe sugli edifici morirono decine di persone. E noi al desco ad osservare. Non era però una partita di calcio, noi contro loro. Semmai una spersonalizzazione delle vittime, come in un videogioco. I conflitti visti da vicino ridanno invece carne e voce a chi ne è coinvolto. Sono persone, non entità evanescenti. Valentina, 46 anni, con la figlia Anna di 10, e Maria, 28 anni, insieme alla figlia Lisa di 5, sono scappate il 7 marzo scorso dalla città ucraina di Zaporizhzhya, dopo che tre giorni prima le truppe russe avevano provocato esplosioni nella centrale nucleare ora sotto il loro controllo di Mosca, la più grande d’Europa e tra le più estese nel mondo.

Il lungo viaggio

La distanza che le due famiglie hanno percorso per raggiungere Uzhorod, dove hanno trovato accoglienza in una scuola adibita a centro per profughi, è di 1.837 chilometri percorribili in 16 ore. Ma il viaggio è durato tre giorni, per evitare pericolose zone in conflitto. Valentina si fa portavoce delle due settimane di guerra vissute. Il volto segnato dalla fatica e dal dolore le assegnerebbe più dei 46 anni che ha. «Il 24 febbraio - racconta - è iniziato l’attacco e abbiamo pensato che sarebbe finito presto. E invece dalla periferia è arrivato nel centro della città, con bombardamenti prolungati e sfiancanti. Non pensavamo che sarebbe scoppiato il conflitto, altrimenti ci saremmo preparati».

«Durante i raid russi ci nascondevamo nelle cantine, ma erano insicure»

« Abitavamo - prosegue - con mio marito e un altro figlio, rimasti a Zaporizhzhya, in un edificio costruito 50 anni fa e senza bunker. Durante i raid russi ci nascondevamo nelle cantine, ma erano insicure. Così abbiamo deciso di trasferirci dalle 11 alle 23 nel Caffè dove lavoravo, rimasto aperto solo per i soldati che difendono la città. Lì c’è un bunker, dove ho nascosto la mia famiglia». I due nuclei sono stati portati in Italia da Uzhorod con il convoglio che ha trasportato da Telgate 300 quintali di aiuti umanitari e ora sono ospiti del Comune bergamasco. «Abbiamo accettato di espatriare per proteggere le nostre figlie - dice ancora Valentina - perché non sappiamo quanto e come proseguirà il conflitto. Siamo contente di andare in Italia ma prima o poi rientreremo a Zaporizhzhya: la è la nostra vita, la ci sono i nostri cari».

Nate nuove amicizie

Il sindaco di Telgate Fabrizio Sala trae un bilancio della missione: «L’obiettivo era portare aiuti a una popolazione aggredita e che sta soffrendo, accogliere profughi per dare loro una prospettiva di vita dignitosa. Non si riescono a capire gli effetti del conflitto guardandolo da fuori. Lo sentiamo più vicino rispetto ad altri perché accade in Europa, è un attacco all’Occidente. Negli occhi delle tante persone che abbiamo incontrato abbiamo visto dolore, spavento, rabbia, ma anche la capacità di vincere la paura conducendo per quanto possibile una vita ordinaria. È una reazione diretta a chi pensava di poterle spaventare e invece queste persone sono disposte anche a morire pur di salvare la propria patria ed è anche una lezione per noi».

«Ora dobbiamo proseguire, sostenendo le associazioni che vogliono aiutare l’Ucraina, dando seguito a quello che è stato fatto finora, creando una rete anche per l’ospitalità»

«Nel dispiacere per quello che stanno passando - prosegue - scopriamo quanto siamo fortunati. Cercare di condurre una vita normale in quel contesto equivale in realtà a condurre una vita eccezionale. Ora dobbiamo proseguire, sostenendo le associazioni che vogliono aiutare l’Ucraina, dando seguito a quello che è stato fatto finora, creando una rete anche per l’ospitalità dei profughi perché non finiscano in centri di accoglienza anonimi ma abbiano la dignità di una casa, di un lavoro e della scuola per i figli. Voglio ringraziare chi ha reso possibile questa missione a Uzhorod con la loro esperienza. Sono nate anche nuove amicizie e posso dire che si è trattato di un’opera di educazione civica».

Solidarietà concreta

Le due famiglie sono ospitate per ora in un hotel a Telgate, dove alcuni abitanti del paese hanno recapitato vestiti e giocattoli. Mamme e figlie sono arrivate con i soli abiti che avevano indosso e quando il sindaco le ha accompagnate a «Le matte» di Azzano per acquistarne di nuovi, per fare la scorta, il titolare ha regalato la spesa. Sono gesti di solidarietà concreta, che cambiano anche chi ne è l’autore. Un imprenditore edile di Lecco, Luca Rovelli, ha messo a disposizione una propria abitazione per ospitare una delle due famiglie.

«Se capitasse a me, a mia moglie e ai miei figli quello che sta succedendo agli ucraini, vorrei incontrare una famiglia che mi accolga»

Mentre un altro imprenditore, Luca Radice, 60 anni, proprietario di fonderie a Telgate da tre anni, a Cinisello Balsamo e a Monza, padre di otto figli, ha accolto un’altra famiglia arrivata a Venezia. Un idraulico dipendente dell’azienda ha regalato mascherine anti Covid al nucleo. È una disponibilità contagiosa. «Perché l’ho fatto? - si chiede Radice -. Perché se capitasse a me, a mia moglie e ai miei figli quello che sta succedendo agli ucraini, vorrei incontrare una famiglia che mi accolga, e non diventare un numero in una palestra o, peggio, finire in mezzo alla strada»

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