Katya lo salvò tuffandosi nell’acqua gelida. Assane la riabbraccia sul lago 7 anni dopo

SARNICO. Nel 2016 il tredicenne di Villongo rimase per 20 minuti sul fondo. Sembrava spacciato, invece Katya Loda lo recuperò a 7 metri di profondità. «Vivo grazie a lei e ai medici che non si arresero. Il lago più pericoloso del mare».

È venuto a vedere che faccia ha il lago che voleva inghiottirlo. Anche sette anni fa era un giorno come questo, cielo velato e Sebino talmente placido da sembrare innocuo. Assane Diop tira un sospiro profondo, di quelli che fanno da confine a un’impresa, poi s’avvia verso il pontile dal quale era caduto. Cammina a stento, bloccato dall’emozione, mentre sotto scorrono acqua e ricordi.

La storia della disavventura di Assane

Il 7 luglio del 2016 in questo posto, il Lido Nettuno a Sarnico, Assane era un disperso, un 13enne di origini senegalesi dato per morto . Lo avevano visto sparire sotto la superficie, risucchiato dalle tenebre di alghe e melma. E in pochi istanti era risultato invisibile al resto dei bagnanti. Rimase 20 minuti sott’acqua, fu ripescato ma considerato spacciato fino a che i medici del 118 e poi quelli del Papa Giovanni non decisero di infrangere i protocolli e di tentare l’impossibile. Ci riuscirono contro ogni statistica, mandando in frantumi, insieme alle prassi cliniche, pure la tendenza alle rese legittimate dalle procedure, che sono i finali in dissolvenza di molte tragedie. In fondo, questa storia a lieto fine è una storia di ostinazione.

«Se non ci fosse stata lei non sarei qui»

«Se non ci fosse stata lei, non sarei qui», indica Assane che s’è ripreso in pieno ma è rimasto di poche parole. Katia Loda, 45 anni, di Villongo come lui, un’altra tessera ostinata di questo puzzle del destino, aspetta sul pontile. «L’ho trovato là, sotto la seconda boa, a 15 metri dal punto in cui era finito in acqua», ricorda lei, laureata in Psicologia clinica, docente alle scuole medie oltre che istruttrice di nuoto con brevetto di salvamento.

«Mia mamma non voleva che facessi il bagno perché non ero tanto capace di nuotare - spiega Assane -. Ero venuto con mio fratello gemello Ousseynou e altri. Per scherzare sono salito in groppa a un mio amico e lui, sempre per scherzo, ha cercato di buttarmi in acqua». Assane s’era però schiantato sui gradini in acciaio che declinano verso il lago. «Ho battuto la testa, sono svenuto e poi caduto in acqua».

«Qui non c’ero mai stata e non dovevo esserci neppure quel giorno - premette Katya -. Ma alcune clienti della palestra dove all’epoca lavoravo come istruttrice venivano al Nettuno per la tintarella e mi avevano chiesto di passare a salutarle. Non appena entrata ho sentito delle urla: “Aiuto, è caduto dentro un ragazzo, è annegato!”. Ma già non si vedeva niente. Non avevo il costume, mi sono tuffata vestita. Nessuno era entrato in acqua prima. Tre ragazzi si sono tuffati con me. Mi sono ricordata che ai corsi di salvamento mi dicevano che nel lago le correnti tirano in diagonale, così mi sono diretta verso la boa. Non lo vedevo. Poi all’improvviso ho guardato giù ed è successa una cosa che ho persino imbarazzo a raccontare. Ho visto una luce salire dal fondo. Ho detto ai 3 ragazzi: “È qua, è qua”. Mi sono fatta spingere sotto da loro che premevano con i piedi sulle mie spalle. Scendevo ed era chiarissimo, come se ci fossero mille luci a guidarmi. È un mistero che non so spiegarmi. Oppure sì: non sono molto credente, ma penso fosse Dio».

Katya: «Sono riuscita a portarlo su. Non so come ho fatto, mi hanno detto che sono rimasta sott’acqua per circa un minuto e 40 secondi»

Katya scende a 7 metri di profondità. «C’erano alghe alte, fango, sacchi della spazzatura. Ho intravisto la sua faccia. Lui era disteso supino sul fondo, aveva il piede incastrato sotto il tettuccio di un’auto. L’ho liberato e me lo sono tirata al petto. Poi mi sono detta: “O saliamo o moriamo tutti e due”. Salendo verso la superficie ero accompagnata dalla stessa luce che illuminava il fondo. Strano, perché pochi attimi prima, guardando verso l’alto, avevo visto tutto buio. Sono riuscita a portarlo su. Non so come ho fatto, mi hanno detto che sono rimasta sott’acqua per circa un minuto e 40 secondi».

«Katya mi ha salvato con l’aiuto di Allah e dei medici», interviene Assane. «Quando l’ho riportato a riva adagiandolo sui gradoni di acciaio, lui ha aperto gli occhi, mi ha sorriso e poi è svenuto - ricorda Katya -. Per questo quando ho sentito dire: “È morto”, ho urlato: “No, è vivo, è vivo”. Allora ho sentito un medico che diceva: “Prendi il defibrillatore”. Sono stati bravi a non arrendersi».

«Quel giorno non volevo morire», incalza il ventenne, che ora lavora come magazziniere alla

«Il primo bagno dopo l’incidente l’ho fatto dopo 6 anni, in piscina»

ditta di materiale elettrico Lombardo di Villongo insieme al gemello. «Mi sono svegliato due settimane dopo in ospedale e la prima cosa che ho visto è stato il sorriso di mia mamma Amy. “Che ci faccio qui?”, le ho chiesto. Lei mi ha abbracciato senza dire nulla. Prima ero più spensierato, ora sono più timido. Il primo bagno l’ho fatto dopo 6 anni, in piscina. Sono stato anche al mare, lì l’acqua è meno pericolosa. Al lago, quello di Como, il primo tuffo l’ho fatto due estati fa. Dovevo vincere la paura. Qui, invece, c’ero tornato una sola volta qualche tempo fa, ma non avevo avuto il coraggio di salire su questo pontile».

Oggi invece sì è sforzato di farlo e alla fine c’è scappato pure un sorriso. Certe vite sono anche il frutto dell’ostinazione. Quella di Assane è una di queste.

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