Ecco i Comuni con i contagi in aumento
Sistema di allerta per prevenire focolai

In base all’incidenza dei contagi e alla crescita percentuale nell’ultima settimana si possono individuare i Comuni più «a rischio».

Controlli serrati per individuare al più presto focolai di ritorno e intervenire con nuove zone rosse locali. Se finora l’attenzione quotidiana ai dati dei contagi è stata alta, da oggi con l’inizio della fase 2 dovrà esserlo ancora di più per scoprire in tempi rapidi gli effetti dell’allentamento delle misure restrittive. La curva deve continuare a scendere, altrimenti sarà necessario intervenire subito. Con fermezza.

La provincia di Bergamo, con la mancata zona rossa in Valle Seriana, è il chiaro esempio delle conseguenze a cui si va incontro ritardando la chiusura totale nella fase iniziale della curva dei contagi. Per evitare di ripiombare nell’emergenza, il decreto approvato dal governo prevede una stretta attività di sorveglianza in capo alle Regioni che dovranno valutare l’andamento quotidiano sulla base dei dati raccolti dalle Ats. Dati che poi saranno valutati dall’istituto superiore di sanità. Proprio l’Iss e il ministero della Salute il 30 aprile hanno diramato una circolare con tutte le indicazioni che dovranno seguire le Regioni. Un’impostazione «local» confermata anche dal capo della task force per la fase 2 Vittorio Colao, che in un’intervista al Corriere della Sera ha spiegato: «L’approccio non dovrà essere nazionale e neppure regionale, ma microgeografico: occorre intervenire il più in fretta possibile, nella zona più piccola possibile».

Quali sono le zone più a rischio in provincia di Bergamo? Per scoprirlo abbiamo applicato ai Comuni bergamaschi la stessa analisi realizzata quotidianamente dalla fondazione Gimbe sull’andamento regionale. Vengono presi in esame due parametri: l’incidenza dei contagi ogni mille abitanti e la crescita percentuale nell’ultima settimana. Confrontando questi due criteri è possibile individuare le aree in cui c’è un campanello d’allarme. Due le premesse doverose: la prima è che l’analisi si basa sull’attuale capacità di Ats di fare i tamponi, quindi con tutti i limiti finora evidenziati, la seconda è che la situazione può mutare molto velocemente. Basta una specifica campagna di monitoraggio in una rsa per innalzare il conto dei positivi.

Nell’ultima settimana in provincia di Bergamo la zona dove il contagio non si è fermato è la Valcavallina: Casazza (+29,5% dei positivi negli ultimi sette giorni), Grone (+25%), Gaverina (+22,2%), Spinone al Lago (+20%) e - scollinando in Valseriana - Leffe (+30%) e Cazzano Sant’Andrea (+23,5%) sono i Comuni in cui si è registrata la crescita più incisiva di contagiati. Lo stesso succede, pur con numeri assoluti contenuti, a Camerata Cornello in Valle Brembana, e a Schilpario. Allargando lo sguardo su tutta la provincia invece sembra che nell’ultima settimana la situazione sia sotto controllo. Non lo stesso si può dire di altre province lombarde - Pavia, Como, Varese - dove il contagio continua a «correre» con casi di Comuni in piena zona critica.

Il sistema dei controlli è piuttosto complesso. Da oggi ogni provincia dovrà identificare l’andamento della curva epidemica attraverso il numero di casi (per evitare allerte il 60% dei dati deve essere in miglioramento), ma anche il numero di persone ricoverate in terapia intensiva, dei ricoveri per Covid-19 e delle persone che sono state dimesse e sono in sorveglianza attiva in casa o negli alberghi sanitari. Non basta, però. Le Ats dovranno anche comunicare ufficialmente quanti tamponi quotidiani vengono fatti («capacità di accertamento diagnostico, indagine e gestione dei contatti») e quanto personale viene dedicato al lavoro necessario per identificare nuovi casi e isolare i contatti stretti. In sostanza tutta la prevenzione messa in campo a livello locale. Perché - lo ripetono tutti gli esperti - è fondamentale continuare a monitorare l’andamento attraverso i tamponi. E nella fase 2, con migliaia di persone che tornano al lavoro, sarà ancora più importante.

Il tracciamento dei dati e le azioni conseguenti sono già stati individuati nel decreto varato dal presidente del Consiglio Giuseppe Conte. L’obiettivo primario è assicurare gli «standard minimi di qualità della sorveglianza epidemiologica». Si parte dalla fase di chiusura totale, che può mutare solo se continuano ad essere rispettati determinati requisiti come il «numero di casi notificati al sistema di sorveglianza», il totale dei ricoveri, i ricoveri in terapia intensiva. Il monitoraggio decisivo per capire se la fase 2 è stabile dal punto di vista sanitario contempla una serie di parametri come il «numero di casi con trend in diminuzione o stabili», il trend settimanale, il «numero di riproduzione di base» (R0), molto importante perché mostra quante persone può contagiare un infetto.

È affidata alle Regioni invece l’individuazione di focolai sul territorio ed eventuali contromisure attraverso l’istituzione di nuove zone rosse. Nel caso i dati mostrino un aumento deciso dei casi nel giro di quattro o cinque giorni, con un R0 superiore a 1, sarà necessario iniziare un esame approfondito. E procedere, eventualmente, all’istituzione di una nuova zona rossa anche locale. Il controllo sarà svolto da Iss e ministero della Salute, ma molte delle responsabilità rimarranno in capo alle Regioni. L’obiettivo è lasciare più libertà di scelta ed evitare un nuovo caso Valle Seriana, dove a inizio marzo non è stata istituita la zona rossa a causa dell’indecisione da parte di governo e Regione Lombardia.

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