Ricerca su cancro e persone con Hiv, premio Usa a un medico di Piazza Brembana

TALENTI. Alberto Giovanni Leone è fra i 17 italiani che hanno ricevuto il Merit Award della società americana di oncologia clinica. Il suo studio mira all’inclusione dei pazienti nella sperimentazione di farmaci per i tumori.

Da Bergamo a Chicago, passando per Roma, Milano e Londra. È questo l’itinerario lungo il quale si snoda il percorso di vita e professionale di Alberto Giovanni Leone, 32 anni, medico originario della Val Brembana, trasferitosi da bambino nella Capitale, specializzando in oncologia nel capoluogo lombardo e premiato negli Stati Uniti per una ricerca portata avanti nel corso della sua fellowship di dodici mesi nel Regno Unito.

«Il cancro è una delle principali cause di morte nelle persone con Hiv, eppure questa popolazione viene spesso esclusa dagli studi clinici sui nuovi farmaci». Da questo presupposto è nata la ricerca che ha portato a Leone il Merit Award 2025 di Asco (American society of clinical oncology).

Tra i 137 premiati nel corso del Congresso annuale Asco, che si è svolto fra il 30 maggio e il 3 giugno scorsi a Chicago, rappresentano l’Italia 17 giovani talenti impegnati nella ricerca oncologica in tutte le sue sfaccettature, otto dei quali lavorano in ospedali e università italiani. Fra loro Leone, all’ultimo anno di specialità in oncologia clinica presso l’Istituto nazionale dei tumori di Milano, con una ricerca sull’inclusione di pazienti con Hiv nei trial clinici su nuovi farmaci. Questo studio è stato portato avanti nel corso dei dodici mesi passati, in qualità di clinical fellow, al Chelsea and Westminster Hospital di Londra.

Ma la lontananza da casa – per quanto originata dal successo – rafforza i legami con le proprie radici e quelle di Alberto Giovanni Leone sono saldamente ancorate a Bergamo, anzi, alla Valle Brembana. Nato a San Giovanni Bianco, è cresciuto a Piazza Brembana, dove è vissuto fino ai sette anni, quando si è trasferito in provincia di Roma per esigenze lavorative del padre. «Alla Bergamasca sono ancora fortemente legato – racconta –, qui ho alcuni dei miei ricordi più belli e ancora adesso, appena posso, lascio Milano per andare a trovare mio zio, che vive a Moio de’ Calvi».

Gli studi tra Milano e Londra

Dopo la laurea in Medicina alla Sapienza di Roma, Alberto Giovanni Leone si è infatti trasferito a Milano, dove dal 2021 si sta specializzando in Oncologia clinica e dove è appena tornato dopo l’esperienza londinese.

«Fin dall’inizio del mio percorso di laurea – spiega – mi sono avvicinato al tema delle disparità di trattamento, focalizzandomi in particolare sui tumori Hiv correlati». Grazie al supporto del suo supervisore Filippo Pietrantonio, l’anno scorso gli si è aperta la possibilità di trascorrere 12 mesi a Londra, nel centro più importante d’Europa in questo ambito, il Chelsea and Westminster Hospital.

«Nel corso di questa esperienza ho avuto l’occasione di portare avanti una mia ricerca personale – prosegue il medico –, grazie alla quale ho vinto questo premio. Non avendo necessità di svolgere ricerche in laboratorio, ma focalizzandomi sull’analisi di dati già esistenti, mi è stato possibile portare a termine l’intero lavoro durante la mia permanenza nel Regno Unito».

Disparità ingiustificate

La ricerca che ha portato Leone a vincere il premio Asco verte sull’inclusione dei pazienti affetti da Hiv nei trial clinici sui nuovi farmaci, analizzando 244 nuove indicazioni farmacologiche basate su 259 studi condotti tra il 2020 e il 2024.

«L’esclusione di questi pazienti dalla sperimentazione di nuovi farmaci – spiega – non ha un razionale scientifico, ma nasce esclusivamente dallo stigma sociale. Nel tempo, però, questa esclusione si afferma come prassi e si trasmette da un protocollo al successivo, nonostante esistano già delle linee guida che indicano di non escludere questi malati dai trial clinici».

Leone ribadisce anche che, se trattato, l’Hiv è perfettamente controllabile e nella stragrande maggioranza dei casi né l’infezione, né il trattamento influenzano in alcun modo l’esito della sperimentazione. Anche in fase di trattamento, però, questi pazienti sono sovraesposti a determinati tipi di tumori, tra i quali figurano «sia i cosiddetti tumori Aids relati, ovvero linfoma non Hodgkin, sarcoma di Kaposi, carcinoma della cervice uterina, sia quelli non Aids relati, cioè carcinoma anale, linfoma di Hodgkin, epatocarcinoma, tumori del distretto testa/collo, carcinoma polmonare».

Miglioramenti, ma non bastano

Pur notando un miglioramento nell’inclusione dei malati di Hiv nei trial clinici per farmaci oncologici, la ricerca di Leone sottolinea come questi siano ancora esclusi in quasi tre casi su quattro, evidenziando un bisogno a cui è necessario fornire una risposta. Di conseguenza, inoltre, questo stato di cose causa il permanere dell’incertezza sull’eventuale pericolosità per i pazienti Hiv dei nuovi trattamenti. La ricerca invita quindi all’elaborazione di nuove strategie per affrontare questa disparità.

«Essendo più esposti della media – conclude Leone –, è evidente che questi pazienti avrebbero un bisogno maggiore di accedere ai trattamenti più recenti e ai trial clinici, soprattutto vista l’assenza di fattori che pregiudichino l’efficacia sia dei farmaci, sia dei dati che si possono trarre dalla sperimentazione».

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