Funivia caduta a Stresa: «Io, scampato alla tragedia per pochi istanti»

Simone Maggi, di Zandobbio, è arrivato sul Mottarone poco prima della tragedia: «Se avessimo ritardato nel prendere i biglietti ci saremmo stati anche noi su quella cabinovia».

«Mentre stavamo salendo ho sentito come uno scossone all’altezza dell’ultimo traliccio, avevo la bambina in braccio e mi sono dovuto tenere per non cadere». Simone Maggi, 38 anni, di Zandobbio, domenica mattina si trovava insieme alla compagna su quella stessa cabina della funivia, a Stresa, precipitata poco dopo. Parla di quello che ha avvertito come uno scossone, ma anche del fatto che non ci si è preoccupati più di tanto: «Altri passeggeri ci hanno detto che era normale che succedesse in prossimità dei piloni», racconta. E ricorda quando, poco dopo essere arrivati in cima, ha visto gli elicotteri per i soccorsi. Poi è iniziata a circolare la notizia della tragedia.

Un pensiero: «Ho ricostruito che siamo saliti con la corsa precedente, sarebbe stato sufficiente tardare qualche minuto nel prendere i biglietti e ci saremmo stati noi su quella cabina, in quel momento». Domenica, saputo dell’accaduto, «stavo quasi per piangere, anche adesso quando ci penso mi viene la pelle d’oca». La salita Domenica mattina era lì, a Stresa, è salito su quella stessa cabina della funivia che poi è precipitata. Ha preso la corsa precedente. Simone Maggi racconta di essere arrivato in cima verso le 11,50. Dieci, quindici minuti dopo, difficile ora quantificare il tempo, ha visto arrivare i primi elicotteri con i soccorsi. «All’inizio ho pensato che qualche ciclista fosse caduto, perché c’è un percorso di trial, e sulla funivia salivano dei ciclisti già pronti ad affrontare la discesa, con i caschi e le pettorine indossate».

Guardando verso gli elicotteri «ho notato i soccorritori che scendevano con l’imbragatura, ma vedevo anche che nessuno risaliva, anzi, gli elicotteri facevano il giro e poi ritornavano per portare altri soccorsi». Ma ancora, in quei primi momenti, il pensiero continuava a essere quello che fosse accaduto un incidente a un ciclista o a un escursionista. Fino a quando, facendo la fila per il parco giochi, ha sentito circolare la voce che parlava di un altro tipo di incidente. «Ho sentito le prime indiscrezioni sul fatto che fosse precipitata una cabina, allora ho cercato su internet, così ho saputo quanto era accaduto - prosegue - e man mano che il tempo passava aumentava anche il numero dei morti». Immediato il pensiero al fatto che, poco prima della disgrazia, si trovava su quella funivia insieme alla compagna e alla figlia di lei. «Mi veniva da piangere», ricorda ora.

L’unico modo per scendere, a quel punto, era a piedi. Quattro ore di cammino. «Siamo passati per i sentieri, e in certi punti anche sullo sterrato. Abbiamo visto il cavo tranciato». Ma sempre a distanza dal luogo dell’impatto, protetto da un «cordone» delle forze dell’ordine. «Mentre scendevamo a piedi - ha aggiunto Maggi - vedevamo i carri funebri salire». Immagini e momenti difficili da dimenticare. Anche alla luce del bilancio della tragedia che ha spazzato via quattordici vite. Mentre un bambino si trova ancora ricoverato in ospedale.

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