Airbnb, un giro d’affari da 15 milioni l’anno. «Vanno tassati come immobili commerciali»

IN BERGAMASCA . Quasi un terzo dei ricavi, 4,8 milioni di euro, legati ai 303 alloggi top in città. Attesa per la nuova legge. Rabaiotti: «Equiparabili al settore extra-alberghiero». Adobati: «Così si potrebbe intervenire con strumenti urbanistici».

La mappa è variegata e sempre più punteggiata, benché non appaia ancora asfissiante come in certe città d’arte. Ma quello degli «affitti brevi turistici» – in altre parole, Airbnb e i suoi «cugini» – è un fenomeno ormai gettonatissimo pure qui: secondo InsideAirbnb.com, portale che ricava i dati dal sito ufficiale della principale piattaforma dedicata agli affitti brevi, in provincia si contano 2.667 Airbnb, di cui 992 in città. Considerando che il ricavo medio annuo per ciascun appartamento messo su Airbnb in Bergamasca è pari a 5.656 euro, il giro d’affari è di poco superiore ai 15 milioni di euro. Oltre al capoluogo, un certo addensamento dell’offerta si nota anche sulla sponda del lago d’Iseo e sulla dorsale seriana tra Clusone e Castione. Ma è un mercato a doppia velocità: se si restringe il cerchio ai 303 «top» di Bergamo città, cioè quegli host che Airbnb individua come «i più frequentemente e recentemente prenotati», ecco che si capisce davvero perché Airbnb è così in voga. Questi «top» hanno un ricavo medio annuo di 16.039 euro, e sono dunque mediamente ben più redditizi (e semplici) di un affitto residenziale classico. L’occupazione media è di 187 notti all’anno, e ben 98 dei 303 «top» sono occupati per più di 240 notti all’anno: in pratica, quasi un terzo del giro d’affari: 4,8 milioni.

L’«espulsione» dai centri storici

La conseguenza, a Bergamo così come nei centri storici delle città d’arte, è un processo ovvio: chi ha la disponibilità di un appartamento vuoto è facilmente «ingolosito» dal destinarlo ad affitto breve, piuttosto che all’affitto classico verso una famiglia o una giovane coppia. È uno degli elementi al centro della recente questione abitativa: «Nelle città d’arte, una domanda turistica molto importante ha prodotto affitti a breve termine che hanno creato un mercato parallelo a quello dell’affitto tradizionale, molto più redditizio, e che ha determinato un livello degli affitti molto più alti – ragiona il professor Fulvio Adobati, direttore del Centro studi sul territorio dell’Università di Bergamo -. Ne deriva, da un lato, un meccanismo di espulsione degli abitanti da quelle aree, e, dall’altro, e di innalzamento delle aspettative dei proprietari».

L’attesa del Comune

Da tempo Bergamo e altri Comuni hanno posto la questione a diversi livelli istituzionali. Qualcosa si sta muovendo nelle ultime settimane. A Firenze, il sindaco Dario Nardella ha annunciato l’adozione un provvedimento (non retroattivo) che vieta l’utilizzo di immobili con destinazione residenziale per affitti brevi turistici nell’area Unesco del centro storico. Giorgio Gori ha valutato il testo, ma Palazzo Frizzoni è orientato a intraprendere una strada di maggior cautela (la scelta di Firenze è a rischio Tar): al momento si preferisce aspettare il provvedimento allo studio del ministro del Turismo Daniela Santanché (è atteso entro fine mese), al cui centro dovrebbe esserci il concetto di «minimum stay», cioè un numero minimo di notti (due?) di permanenza. Gori spinge invece per una prospettiva diversa, cioè quella di dare ai sindaci uno strumento per poter fissare dei tetti non tanto al numero minimo di notte quanto al numero di affitti brevi a seconda delle zone della città, così da spalmare un’offerta che è al momento concentrata solo nei centri storici.

Un’ulteriore strategia proposta dagli esperti del settore è quella di inquadrare quegli immobili non più come residenziali, ma come commerciali (con una diversa tassazione e normativa). «Questo patrimonio fuoriesce dalla disponibilità per la residenzialità – ragiona Gabriele Rabaiotti, presidente di Fondazione Casa Amica e docente del Politecnico di Milano, già assessore alle Politiche abitative di Milano -. Il tema va trattato come se queste locazioni avessero nei fatti una funzione commerciale-ricettiva, con un’altra linea di reddito, che dovrebbe essere normata e tassata come fosse un settore extra-alberghiero». Tema su cui concorda anche Adobati: «La soluzione più interessante è identificare questi affitti turistici come attività economiche: in questo caso, i dispositivi urbanistici possono regolare, con limitazioni ragionevoli, la densità di alloggi turistici nei diversi contesti».

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