Bimba morta, martedì l’autopsia: «Chiarirà se la madre aveva premeditato»

Leffe L’aggravante contestata alla madre in caso le avesse dato l’ansiolitico. Il retroscena: caffè «mancato» lunedì a Milano e la lite senza passare da casa.

È stata fissata per martedì 26 luglio l’autopsia sul corpicino di Diana Pifferi, la bimba di un anno e mezzo morta di stenti dopo essere stata lasciata per sei giorni da sola in casa dalla madre Alessia Pifferi, 36 anni, in cella a San Vittore (controllata a vista, su richiesta del gip, nel timore di gesti estremi) con l’accusa di omicidio volontario aggravato dai futili motivi. Proprio l’esame autoptico servirà a formalizzare l’eventuale aggravante della premeditazione, inizialmente contestata dal pm milanese Francesco De Tommasi e temporaneamente esclusa dal gip Fabrizio Filice: «Il quadro potrebbe decisamente cambiare», scrive il gip nell’ordinanza di convalida del fermo, se dall’autopsia «risultasse che aveva somministrato alla bambina il farmaco alle benzodiazepine» trovato in casa.

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Farmaco che Alessia Pifferi ha sempre negato agli inquirenti di aver mai dato alla figlia, in passato e tantomeno giovedì 14 luglio, quando aveva lasciato la piccola Diana a casa da sola per raggiungere l’abitazione del compagno Mario D’Ambrosio a Leffe, dov’era poi rimasta per i 6 giorni che si sono rivelati fatali per Diana. Sei giorni durante i quali – è emerso dalle indagini – la trentaseienne era tra l’altro tornata, lunedì 18, in un’occasione a Milano, proprio con il compagno: lo aveva infatti accompagnato a un appuntamento di lavoro, ma si era ben guardata di chiedergli di passare da casa sua, in zona Ponte Lambro, perché a D’Ambrosio aveva detto che la figlia era al mare con sua sorella. Ma in quella mattinata – circostanza inizialmente negata dalla Pifferi, ma poi ammessa agli inquirenti – c’è tra l’altro stato un momento in cui le cose stavano andando diversamente e che per i giudici rappresenta un’ulteriore prova di come la donna anteponesse la relazione con il compagno alla salute della figlia.

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Mentre infatti il compagno era impegnato nell’incontro di lavoro, la donna lo aveva atteso sul furgone. «Eravamo rimasti d’accordo che avremmo poi preso un caffè insieme perché io non avevo fatto colazione – ha raccontato la Pifferi durante gli interrogatori –: quando lui è arrivato, ha detto che aveva già preso il caffè con il signore dell’appuntamento. Ci sono rimasta male e abbiamo discusso. Prima di questa discussione avevo pensato di utilizzare questo passaggio a Milano per prendere la bambina ma, dopo la discussione, non l’ho fatto. Anzi, dopo la discussione lui all’inizio mi ha detto che mi avrebbe riaccompagnata a casa, poi però ho visto che mi prendeva la mano e si dirigeva verso Leffe. Lì ho capito che saremmo tornati verso casa sua e non ho detto niente».

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Lo stesso D’Ambrosio, quando mercoledì ha saputo dalla Pifferi che Diana era morta, si è inalberato: «Cosa hai fatto? Cos’è successo?», le ha gridato, incredulo, rimproverandola per non aver portato Diana con sé a Leffe, in una telefonata in vivavoce sentita anche dalla vicina di casa alla quale la Pifferi aveva chiesto aiuto. E ancora domenica i vicini di via Parea a Milano si dicevano sconvolti per non aver potuto fare nulla: «Impensabile pensare che noi eravamo qui e Diana stava morendo».

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