Il cognato: mai avvertita una sensazione di pericolo. Delitto di Viana, oggi l’interrogatorio del 35enne

NEMBRO. Delitto di Viana, parla il cognato del 35enne con disagio psichico che ha ucciso il padre e ferito la madre: «Matteo è un giovane timido, informato e appassionato di tecnologia. Posso dire che dall’episodio di 15 anni fa non aveva mai fatto nulla di male».

«Matteo 4 giorni prima della tragedia ha chiesto aiuto facendosi accompagnare all’ospedale, ma qui gli è stato risposto che non c’era posto. Ora passerà per il carnefice dei suoi genitori, ma non posso smettere di pensare che anche lui sia una vittima del sistema». A parlare è Enrico Colombi, cognato di Matteo Lombardini, il 35enne che sabato sera, colto da raptus, ha ucciso a coltellate il padre Giuseppe, pensionato di 72 anni, e ferito gravemente la madre Maria Angela Stella, 66, ora ricoverata all’ospedale Papa Giovanni in prognosi riservata (ma è fuori pericolo). Anche se lo sgomento per l’omicidio consumatosi tra le mura di casa in via Rossi a Nembro è difficile da cancellare, il racconto della malattia di Matteo assume un’altra prospettiva quando viene riferito da chi condivideva la storia di famiglia.

Il cognato: era malato ma non aveva mai fatto nulla di male

«Matteo era malato, ma in 12 anni di frequentazione non ho mai avvertito una sensazione di pericolo - afferma Colombi -. Matteo è un giovane timido, informato e appassionato di tecnologia. Posso dire che dall’episodio di 15 anni fa non aveva mai fatto nulla di male». Colombi fa riferimento all’aggressione nei confronti del padre che aveva messo in luce il malessere di Matteo. Un disagio riconosciuto e indirizzato lungo un percorso di assistenza che includeva frequentazioni del Centro psico sociale (Cps) di Nembro - anche se risulta che negli ultimi tempi si fossero piuttosto diradate; si stava curando tramite uno psichiatra di Brescia - e l’affetto costante della famiglia.

«Continua tensione con i genitori»

«La situazione che viveva Matteo con i suoi genitori non era un continuo stato di tensione - ricorda Colombi - tant’è vero che, a parte chi aveva saputo dell’aggressione di 15 anni fa, pochi conoscevano cosa accadeva in casa Lombardi. Mio suocero era una persona conosciuta, era stato presidente della casa di riposo Martino Zanchi di Alzano e catechista: una figura inserita nella comunità. Detto questo, è chiaro che ognuno vive le sue problematiche nel privato. La ricostruzione di quanto è avvenuto sabato mi ha sorpreso: se la lite fosse durata tutta la giornata sono certo che i genitori ci avrebbero avvisato, invece abbiamo ricevuto rassicurazioni. Tanto più che Giuseppe quella sera per cena era andato a prendere le pizze».

Gli inquirenti stanno accertando non solo quanto è accaduto in casa sabato, ma anche altri aspetti che potrebbero avere un peso nella vicenda. «Martedì scorso Matteo ha detto ai genitori che non stava bene - racconta Colombi -; probabilmente in questi anni aveva imparato a interpretare i segnali del suo disagio. Così ha chiesto di essere accompagnato all’ospedale di Alzano per essere ricoverato. Chiedere un ricovero in reparto psichiatrico non è certo una cosa che si fa a cuor leggero, temeva qualcosa di grave. Così sono andati in ospedale insieme e, a quanto ne so, chi ha valutato la situazione non ha ritenuto necessario un ricovero. Matteo non era in condizioni tali da richiedere un trattamento sanitario obbligatorio, si era presentato spontaneamente. Forse, ho saputo dopo, si poteva chiedere un Aso (accertamento sanitario obbligatorio). Ma gli è stato risposto che in reparto non c’era posto. Non ricordo se il giorno stesso o quello seguente, era stato indirizzato al Cps di Nembro. Qui gli hanno dato una cura, ma in quella struttura già non si era trovato bene: la famiglia è stata lasciata sola».

La situazione sanitaria

Se non ci sono dubbi sulla mano che ha sferrato i fendenti fatali, rimane sospeso l’interrogativo: quella mano poteva essere fermata per tempo? «Senza far riferimento al caso specifico, tutelato dalla normativa in materia di privacy, sottolineiamo che il ricovero urgente è disposto dal medico del Pronto soccorso (Ps) sulla base della sua valutazione e sulla base delle eventuali specifiche indicazioni che il consulente fornisce se la problematica di presentazione del paziente è di competenza specialistica. La decisione di ricoverare o meno dal Ps è per legge insindacabile e non dipende dalla disponibilità o meno di posto letto - spiega Filippo Manelli, direttore della Struttura complessa Pronto soccorso dell’Asst Bergamo Est da cui dipende l’ospedale di Alzano -. Non a caso, una delle principali criticità in sanità è il boarding (stazionamento dei pazienti in Ps in attesa di ricovero), proprio a conferma del fatto che, se c’è indicazione al ricovero, il paziente non viene comunque dimesso, ma attende il posto letto, oppure viene ricoverato in posti letto “tecnici” anche esterni al reparto di competenza, i cosiddetti “ricoveri in appoggio”. In Asst Bergamo Est ciò è esplicitato nel “Piano gestione sovraffollamento”. Naturalmente, se un paziente necessita di ricovero urgente dal Ps e nel relativo presidio non ci sono posti letto disponibili, si può valutare il trasferimento in una struttura di altra azienda». «La dimissione dal Ps - conclude il dottor Manelli - è sempre e comunque successiva alla non indicazione al ricovero, posta dal medico d’urgenza del Ps, oppure (nei casi specialistici) dal consulente che valuta in Ps il paziente e pone specifiche indicazioni sulle modalità per il proseguimento delle cure dopo la dimissione». Martedì 21 ottobre, intanto, Matteo Lombardini, che si trova in carcere, comparirà davanti al gip per l’interrogatorio di convalida.

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