Il giovane albinese allievo di violino che aiutò a fuggire il suo maestro e la moglie

Storie della Shoah. Una vicenda che sembrava dimenticata riemerge grazie alle testimonianze dei figli di Gustavo Carrara, che accompagnò in Svizzera attraverso le montagne Wolfgang Neumann e Susi Mstowski. Poco dopo nacque Daniel, tutt’ora vivente in Usa.

La storia collettiva della Shoah nasconde ancora, a ottant’anni di distanza, degli inediti, come la storia di Gustavo Carrara, giovane albinese che non esitò a rischiare la propria vita per mettere in salvo quella dei coniugi ebrei Wolfgang Neumann e Susi Mstowski.

Una storia che sarebbe andata persa se non fosse stato per i figli, gli unici a cui il padre aveva raccontato la vicenda, ma anche grazie al grande impegno di Anousch Gregis, architetto, e il professor Angelo Calvi. Gustavo Carrara e il padre di Anousch, Davide, appartenevano al Cai di Albino, e anche i rispettivi figli erano rimasti in contatto. Recentemente Anousch li ha contattati più volte per ricostruire un periodo della vita di Gustavo nella fabbrica Rier di Pradalunga. Nei mesi passati, Anousch e Angelo hanno ricostruito tutta la vicenda, riuscendo a rintracciare il figlio di Wolfgang e Susi, Daniel, nato pochi mesi dopo la fuga in Svizzera e oggi nonno negli Usa.

La coppia era stata fra i primi ebrei a giungere ad Albino il 18 febbraio del 1942, dopo essere passata in un campo di concentramento a Ferramonti in Calabria e poi «internati liberi» a Serina. Saranno i primi a lasciare l’Italia, consapevoli di quanto poteva loro accadere visto che avevano già vissuto la persecuzione in Germania e Polonia (da lì, non riuscendo ad ottenere il visto per gli Usa, avevano raggiunto Milano). Arrivati ad Albino conobbero un giovane, appena maggiorenne, a cui Wolfgang Neumann impartiva lezioni di violino. L’aspirante violinista Gustavo Carrara, oltre ad essere un grande appassionato di musica, lo era anche di montagna, e quando l’8 ottobre 1943 si venne a sapere dell’imminente arresto degli ebrei sul territorio, grazie alla soffiata dal «capo dei fascisti di Albino», Dante Testa, allora commissario prefettizio di Albino in assenza di un podestà, il ragazzo non ci pensò un attimo a studiare un piano per portare in salvo i due coniugi.

L’aspirante violinista Gustavo Carrara, oltre ad essere un grande appassionato di musica, lo era anche di montagna

Studiò un percorso di fuga lungo, oltre che rischioso e tutt’altro che semplice, specialmente per Susi Mstowski, che al tempo era in incinta di cinque mesi circa di Daniel, che nascerà in Svizzera. La condizione della donna fu anche quella che nonostante tutto le salvò la vita, poiché le guardie svizzere di confine, oltre che quelle italiane (che in zona erano notoriamente anti-tedesche), lasciarono passare entrambi. Carrara li accompagnò per tre giorni di estenuante cammino attraverso le montagne fino alla Valtellina, dove i due continuarono soli. Pochi mesi dopo nasceva Daniel. Oggi Daniel ha 79 anni e vive negli Usa, circondato dall’affetto di una grande famiglia. Ventottomila furono gli ebrei accolti in Svizzera, molti passati per i buchi della «ramina», la rete di confine. Ma almeno altrettanti furono quelli respinti alle frontiere.

Eroe silenzioso

Una storia rimasta sepolta per ottant’anni quella del giovane eroe Gustavo Carrara, morto all’età di 92 anni nel 2016. Si può avanzare l’ipotesi che Gustavo sia uno di quelli per i quali, come diceva Gino Bartali, «il bene si fa e non si dice». E fu questo il suo modo di fare in tutto il suo quotidiano. È grazie a gente come lui che in quel periodo erano diversi gli ebrei rifugiatisi ad Albino: i Finkelstein, quattro persone, i Levi, altre quattro persone, i Polacco, due persone, i Goldstaub, otto persone. Oltre che del capo del fascismo albinese, che si può identificare in Dante Testa, il quale più volte aveva avvertito gli ebrei dell’imminente arresto. Ed Edoardo Nicoli, detto «Barbù», il parroco di Dossello di Albino don Angelo Zois, il proprietario dell’albergo al Ponte, presso la stazione, Giuseppe Bettinelli con la moglie Luisa Vecchi... Sono solo alcuni dei nomi degli albinesi che opponendosi al regime, nel loro piccolo hanno aiutato quotidianamente le famiglie di ebrei qui sfollati. Da alcune memorie della famiglia Goldstaub si ricorda il periodo albinese come uno dei più «felici» e sereni, seppur talvolta carico di preoccupazioni.

«Condividevamo il cibo nella grande cucina annerita dal fumo. I nostri pasti, preparati dalle mamme, erano spesso a base di polenta. In mezzo al tavolo era appesa una aringa affumicata (saracca) sulla quale sfregavamo la polenta per insaporirla. Tutte le mattine presto gli uomini partivano alla ricerca di generi alimentari. Le mamme collaboravano per le pulizie, il bucato, i pasti e la cura dei bambini», scrive Franco Goldstaub. «I bambini, liberi da impegni scolastici, – continua – giocavano tutto il giorno all’aria aperta con qualsiasi tempo. Il periodo passato nel bosco fu comunque per noi spensierato, immersi in una bellissima natura: noi bambini di città, alla scoperta della natura, degli animali, delle castagne, dei funghi».

«Il periodo passato nel bosco fu comunque per noi spensierato, immersi in una bellissima natura: noi bambini di città, alla scoperta della natura, degli animali, delle castagne, dei funghi»

Ma non mancarono certo le preoccupazioni, scrive Lidia Gallico: «Il rischio era alto, molto probabilmente noi non sembravamo una famiglia “sfollata” da Milano per sfuggire ai bombardamenti, come veniva detto a tutti quelli che chiedevano da dove venivamo: la presenza fra di noi di due uomini giovani (mio padre e suo cugino), che avrebbero dovuto essere in guerra, contraddiceva apertamente quell’affermazione. Un giorno passò un piccolo gruppo di soldati tedeschi, è l’episodio che ricordo con maggior chiarezza e terrore perché i tedeschi passarono proprio sotto le nostre finestre e io ho ancora chiaro il rumore degli stivali e il suono delle voci per noi incomprensibili, ma che facevano paura. Noi bambini ci nascondemmo terrorizzati, ma per fortuna i soldati non si fermarono, gli adulti ci dissero poi che cercavano i macellatori clandestini e i fabbricanti di grappa».

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